Vorrei fare una prima visita in Studio Sartori e Bovenzi: cosa devo fare?

La prima cosa da fare è contattarci per prenotare un appuntamento alla pagina contatti.

Consigliamo di portare con se la propria documentazione clinica ma, in caso non sia in vostro possesso il nostro studio è attrezzato per tutti gli esami diagnostici e radiologici necessari per il corretto inquadramento del caso clinico.

Esiste il rigetto in implantologia?
Non è corretto parlare di rigetto in implantologia in quanto il titanio è un biomateriale totalmente biocompatibile e lo dimostrano le altissime percentuali di osteointegrazione riportate dalla letteratura scientifica internazionale. Con le moderne tecniche la percentuale di osteointegrazione degl’impianti dentali è prossima al 99%.
Anche gli adulti possono raddrizzare i denti con l'apparecchio ortodontico?
Gli adulti possono essere sottoposti al trattamento ortodontico purchè vengano trattati da personale altamente specializzato. E' infatti estremamente importante che le forze ortodontiche siano appropriate (forze molto leggere) alle condizioni fisiologiche ed anatomiche.
Quali sono le caratteristiche delle nuove ceramiche integrali allo zirconio?
Le nuove ceramiche allo zirconio si differenziano dalla classica ceramica perchè sono prive di struttura metallica interna. In questo modo si riescono ad ottenere dei manufatti resistenti e con una resa estetica superiore.
Vanno curati i dentini da latte e se si quando?

Spesso le mamme dei nostri piccoli pazienti ci chiedono se sia veramente necessario curare dei dentini da latte che in quanto decidui verranno sostituiti di lì a poco dal corrispettivo dente permanente.


Quando il dentista decide se e come curare il dentino lo fa considerando una serie di fattori e condizioni, l’analisi dei quali permette al professionista di operare la scelta migliore in relazione alle esigenze di quel particolare paziente. Innanzitutto consideriamo l’età del piccolo paziente in relazione a quale dente deciduo deve essere curato. In altre parole se il bimbo è molto vicino all’epoca di permuta del dente cariato che ci apprestiamo a curare è legittimo pensare di non procedere con la cura del dentino in questione e magari, ove necessario, aiutarne la permuta stessa con l’estrazione (ma attenzione non sempre è necessario). Se invece il dentino da latte dovrà verosimilmente rimanere in bocca per qualche anno ancora, è bene curarlo, visto che una sua perdita precoce potrebbe alterare la posizione dei futuri denti permanenti, portando poi un domani il nostro piccolo paziente dallo specialista ortodontista.
In secondo luogo dobbiamo considerare l’entità della lesione cariosa in relazione alla collaborazione e all’atteggiamento psicologico del bambino. Nei bimbi molto piccoli infatti che rifiutano decisamente il contatto con il dentista se la carie è molto piccola si può pensare di aspettare qualche tempo prima di intervenire, magari quando le mutate condizioni familiari e/o ambientali condizionano in modo positivo il bambino.
Talvolta infine, il dentista ortodontista può decidere di estrarre strategicamente alcuni dentini da latte che in quel momento bloccano la sequenza eruttiva ideale per favorire l’allineamento dei denti permanenti.
Concludendo possiamo assentire sul fatto che ove possibile ed ove necessario sia sempre bene mantenere i dentini da latte dei nostri bambini, affidandoci comunque al parere del nostro dentista di fiducia laddove lui reputi necessario estrarre un dente la cui cura e mantenimento in arcata è talvolta non solo inutile ma addirittura dannosa.

È vero che se ho un dente scuro devo fare una corona?

Le discromie dentali sono alterazioni del colore dei denti che possono essere causate da diversi fattori, come età, stili di vita, traumi dentali, trattamenti medici/odontoiatrici e l’esposizione a determinati alimenti o bevande. Queste discromie possono influire negativamente sull’estetica del sorriso e quindi sulla vita di relazione.

Perchè un dente diventa scuro?
Esistono due tipi principali di discromie dentali: esterne e interne.
Le discromie dentali esterne, più evidenti in caso di affollamento dentale, sono causate dall’accumulo di tartaro, da pigmenti prodotti da alcuni microrganismi presenti nel cavo orale, da esposizione a cibi e bevande colorati, come il tè, il caffè, il vino rosso, la liquirizia e dal fumo.
Le cause più comuni di discromie dentali interne, ovvero dentro lo spessore smalto- dentina (stato interno del dente) includono l’invecchiamento, denti con anomalie genetiche di smalto e dentina, una demineralizzazione dello smalto, la presenza di carie, l’utilizzo di materiali da restauro come l’amalgama o materiali colorati da otturazione nella cura canalare, spesso usati in modo incongruo, infine dall’assunzione di certi farmaci. Un’alterazione del colore del dente condiziona negativamente l’estetica specie quando coinvolge i denti frontali. Anche un trauma dentale può portare al viraggio cromatico di un dente.
Diviene quindi determinante stabilire una corretta diagnosi e risalire al fattore o ai fattori causali della discromia, perché la terapia sarà completamente diversa: dalla semplice terapia igienica professionale (eliminazione del tartaro e delle macchie) a procedure di sbiancamento dentale, oppure otturazioni in resina composita di adeguato colore in caso di carie o difetti congeniti della superficie dentale fino ad arrivare, nei casi più gravi, a soluzioni protesiche (faccette e corone).

Cause di discromie dentali esterne risolvibili con la rimozione superficiale dei depositi (in genere riguardano più denti):
  • Scarsa igiene orale con accumuli di tartaro sulla superficie dei denti
  • Accumulo di pigmenti da cibo, microrganismi e fumo
Cause di discromie dentali interne:
  • Invecchiamento (riguarda tutta la dentatura)
  • Demineralizzazione o anomalie genetiche della superficie del dente
  • Precedente otturazione in amalgama
  • Assunzione di specifici farmaci (riguarda tutta la dentatura)
  • Trauma dentale
  • Tecnica incongrua nell’otturazione del dente devitalizzato
Quando è necessario intervenire con una faccetta oppure una corona?

In presenza di discromie interne refrattarie a procedure di sbiancamento può essere necessario ricorrere a restauri protesici per poter migliorare l’estetica, specie quando l’aspettativa del paziente è elevata.
Possibili indicazioni al restauro con una faccetta o una corona:
  • Sbiancamento superficiale del dente discromico con risultati non soddisfacenti
  • Insufficiente copertura di un’area discromica mediante otturazione estetica, come nelle anomalie nello sviluppo del dente
  • Otturazione di una lesione cariosa estesa in area estetica
  • Dente devitalizzato discromico
Meglio una faccetta o una corona?
La faccetta dentale è una protesi molto sottile che si applica sulla superficie esterna del dente e richiede una minima preparazione (limatura) del dente per consentirne l’applicazione. La corona (capsula) è una protesi più spessa che avvolge tutta la superficie del dente e richiede una preparazione (limatura) del dente più ampia per consentirne l’inserimento.
Sarà compito del dentista valutare il singolo caso clinico, la localizzazione del dente (in zona frontale o posteriore), se il dente è vivo o devitalizzato e scegliere la procedura adeguata per la risoluzione del problema, nel rispetto della funzione masticatoria e soprattutto valutando vantaggi e svantaggi di una ricostruzione protesica parziale (faccetta) o totale (corona)
Il trattamento protesico sarà sufficiente per risolvere definitivamente il problema?
Più l’alterazione del colore è severa più sarà difficile mascherarla con la sola ricopertura protesica. Spesso risulta comunque necessaria una procedura di sbiancamento del dente prima di applicare il manufatto protesico.
Va inoltre ricordato che il trattamento protesico restaurativo con corona o faccetta garantisce un miglioramento estetico, tuttavia è un atto irreversibile perché comporta l’asportazione di struttura dentale, maggiore nella realizzazione di una corona piuttosto che di una faccetta, e va quindi valutato con estrema attenzione, specie nei soggetti giovani, privilegiando soluzioni più conservative, se possibile.

Conclusioni
Il trattamento di una alterazione del colore della dentatura è semplice in caso di discromia esterna. E’ sufficiente eseguire una detersione professionale delle superfici dentali associata a un’adeguata igiene domiciliare e al cambiamento delle abitudini alimentari, riducendo l’assunzione di alcuni cibi ricchi di pigmenti ed eliminando il fumo.
In caso di discromia interna, la scelta terapeutica spazia -in relazione all’età del soggetto, alle condizioni  generali della dentatura, all’integrità del dente e alla sua localizzazione- tra una semplice otturazione estetica, a procedure di sbiancamento esterno nei denti vitali, a procedure di sbiancamento interno nei denti devitalizzati, infine alla copertura attraverso un restauro protesico parziale (faccetta) o totale (corona).
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È vero che un dente che fa male va necessariamente devitalizzato?

Ogni giorno i pazienti prenotano appuntamenti del dentista a causa di dolori che si presentano nel distretto oro-facciale. La maggior parte dei dolori riferiti dai pazienti sono dolori dentali che possono influenzare la vita di tutti i giorni e non permettere le normali attività quotidiane. Per questo motivo è importante che il dentista riconosca la problematica, esegua una diagnosi ed intervenga nel modo più corretto e più conservativo. Esiste sicuramente l’idea che un dente che fa male debba essere trattato con una terapia canalare, ma in realtà non tutti i mal di denti richiedono la devitalizzazione .

Quando la devitalizzazione è necessaria?
  • diffusione dellacarie agli strati più profondi del dente, in prossimità del nervo o addirittura a contatto (carie penetrante). In questi casi i batteri possono aver invaso diffusamente la polpa (nervo) senza possibilità di riparazione.
  • unforte trauma con o senza frattura della corona dentale( parte visibile del dente), può provocare un danno irreparabile.
Quali sono le situazioni di dolore dentale in cui può non essere necessaria la devitalizzazione?
  • problemi gengivali come infiammazioni o infezioni ai tessuti di supporto del dente (parodonto), cioè la gengiva e l’osso che circondano il dente
  • presenza di lesioni cariose degli strati più superficiali del dente, talora associate alla rottura di una parte del dente
  • incrinature della corona dentale, ovvero microfratture che possono manifestarsi con dolore provocato dopo l’assunzione di zuccheri, di liquidi freddi o durante la masticazione, dolore che passa spontaneamente dopo qualche secondo
  • una condizione di ipersensibilità dentinale può provocare un forte dolore dopo l’assunzione di bevande fredde o acide ed è causata da zone del dente in cui non è presente lo strato protettivo di smalto o in zone dove la gengiva è retratta; lo stesso può accadere anche dopo una seduta di igiene orale, ma la sensibilità solitamente si risolve nell’arco di pochi giorni
  • eventi traumatici dentali senza coinvolgimento del nervo, in cui si potrà avere dolore spontaneo di lieve o media intensità, ma transitorio
  • anche un eccessivo carico masticatorio su un singolo dente può provocare una sensazione dolorosa

Quali farmaci posso utilizzare per ridurre il dolore ai denti?
Nel caso in cui non sia possibile un tempestivo contatto con il dentista, cosa possiamo assumere per ridurre il dolore in attesa di una visita e di una terapia?
I farmaci antinfiammatori-antidolorifici non steroidei (FANS) rappresentano la prima scelta e sono tra i più usati per alleviare qualsiasi tipo di dolore, compreso il mal di denti:
  • Ibuprofene
  • Ketoprofene
  • Nimesulide
  • Naprossene sodico
  • Ketorolac
Nonostante non appartenga alla famiglia dei FANS, lo stesso Paracetamolo viene utilizzato per dolore da lieve a moderato, riducendo molti degli effetti avversi dei FANS, come disturbi allo stomaco.
Oltre al Paracetamolo e ai FANS, sono disponibili in farmacia formulazioni che associano il paracetamolo con gli oppiacei (Codeina e Tramadolo), che hanno una spiccata efficacia per il mal di denti.
E’ bene evitare l’utilizzo di antibiotici senza prescrizione medica, o comunque senza prima aver visitato un dentista, semplicemente perché sono inefficaci, non essendo dotati di un effetto antidolorifico e antinfiammatorio immediato, inoltre, se inopportunamente assunti, aumentano il rischio globale di antibiotico-resistenza.
La posologia di tutti i farmaci deve essere stabilita dal dentista: ogni paziente, ogni dente e ogni dolore sono diversi, e la quantità, i tempi e le modalità di somministrazione dei farmaci possono richiedere particolari accortezze, considerando anche l’interazione con altri farmaci assunti dal paziente.
Come decidere se devitalizzare o meno il dente in caso di dolore?
Spetta al dentista definire l’origine e la causa del dolore. Con l’aiuto di un’attenta visita, associata a esami specifici come radiografie e test di sensibilità del dente, potrà facilmente fare diagnosi. La devitalizzazione di un dente è un intervento irreversibile e comporta delle conseguenze. La polpa dentale è un organo molto importante, nel corso della vita consente i processi di riparazione conseguenti all’aggressione batterica, determina l’elasticità e quindi la resistenza alla frattura e il mantenimento del colore del dente, pertanto va eliminata solo in caso di effettiva necessità, come affermato dalle recenti Linee Guida Europee in Endodonzia (2023).
Quali terapie sono in grado di risolvere il mal di denti quando dipenda da un’infiammazione della polpa?
In caso di carie profonda si possono utilizzare trattamenti come l’incappucciamento diretto o indiretto. Questi prevedono l’applicazione di materiali specifici per proteggere la polpa, favorendo la formazione di un nuovo strato protettivo di dentina e aiutando il dente a ripararsi. Quando la situazione è più complessa, potrebbe però essere necessario rimuovere solo la parte più superficiale della polpa infiammata attraverso una procedura chiamata pulpotomia.
Gli attuali orientamenti che propendono a mantenere la vitalità della polpa (nervo), o almeno di una parte di esso, derivano dalla consapevolezza delle sue utili funzioni protettive.
Tuttavia, è bene sottolineare che sarà il dentista a valutare caso per caso, considerando i segni clinici, i sintomi e lo stato del dente. In determinate situazioni, soprattutto quando ci sono segni di infiammazione pulpare grave, il trattamento endodontico (cura canalare) rappresenta l’unica scelta di intervento. Questo trattamento, comunemente noto come “devitalizzazione”, consiste nella completa rimozione della polpa dentale danneggiata o infetta, nella disinfezione dei canali radicolari e nella loro otturazione con materiali specifici, preservando così il dente e prevenendo ulteriori complicazioni.
È importante rivolgersi tempestivamente al dentista di fiducia per una diagnosi corretta e per individuare la soluzione più adatta alla situazione clinica.
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È vero che l’assunzione quotidiana di succo di limone fa bene alla salute?

È piuttosto diffusa l’abitudine all’assunzione quotidiana di limone, supportata dalla divulgazione dei suoi effetti benefici sull’organismo, primo fra tutti il suo effetto antitumorale. Meno divulgati sono i danni che conseguono all’assunzione continuativa del succo di questo frutto a causa della sua acidità.
Quali i benefici attribuibili al limone?
Il limone è un alimento ricco di benefici per la salute grazie al suo alto contenuto di vitamina C, antiossidanti e altre sostanze nutritive.
  • L’alto contenuto diVitamina C aiuta a potenziare le difese immunitarie, proteggendo il corpo da infezioni e malattie, come raffreddori e influenze.
  • Gli antiossidanti presenti nel limone combattono i radicali liberi, che possono danneggiare le cellule e causare invecchiamento precoce e malattie croniche.
  • Il limone è un alcalinizzante e stimola la produzione di bile, aiutando il fegato e facilitando la digestione dei grassi. Bere acqua tiepida e limone al mattino può favorire la regolarità intestinale ed il livello di idratazione.
  • Vitamina C e agli antiossidanti possono migliorare la salute della pelle
  • Il limone può contribuire a ridurre la pressione sanguigna grazie al suo contenuto dipotassio e può migliorare i livelli di colesterolo.
Tra i vari effetti benefici del limone viene anche menzionato il suo effetto antitumorale. Sebbene contenga diverse sostanze con proprietà potenzialmente antitumorali, come i flavonoidi, attualmente la ricerca scientifica non dimostra che il limone sia un “antitumorale” nel senso stretto del termine.
È importante chiarire che il consumo di limone da solo non può essere considerato una cura o una prevenzione verso il cancro.
Una dieta equilibrata, ricca di frutta, verdura, fibre e povera di grassi saturi, insieme a uno stile di vita sano (come l’assenza di fumo e l’attività fisica), sono generalmente considerati la migliore strategia per mantenersi in salute.
In conclusione, mentre il limone ha potenziali benefici grazie ai suoi antiossidanti e composti bioattivi, non esistono prove sufficienti per affermare che sia un “antitumorale” diretto.
Quali sono gli effetti sfavorevoli dell’abuso di limone?
È dimostrato che l’abuso di limone contribuisca all’erosione dentale a causa della sua elevata acidità, infatti può erodere lo smalto dei denti se consumato frequentemente o se lasciato a lungo a contatto con i denti.
Ecco come si verifica il processo:
  • Erosione dello smalto: l’acido citrico presente nel limone attacca lo smalto, ovvero il rivestimento protettivo dei denti, rendendolo più sottile e vulnerabile all’
  • Esposizione della dentina: man mano che lo smalto si assottiglia, la dentina, lo strato sottostante più morbido, può essere esposta. La dentina è più suscettibile all’usura e la sua esposizione può causare sensibilità dentale oltre che un maggior rischio di sviluppare la malattia cariosa.
  • Abrasione meccanica: una volta che lo smalto è indebolito, qualsiasi azione abrasiva, come lo spazzolamento dei denti, può causare un’ulteriore usura dei denti.
Il danno da acido comporta:
  • Perdita della lucidità dei denti
  • Modifica della forma dei denti
  • Scurimento dei denti
  • Aumento della sensibilità dei denti
  • Maggiore suscettibilità alla carie
Come prevenire i danni?
  • Limitare il consumo di limone. Evitare di succhiare fette di limone o bere frequentemente acqua con limone.
  • Dopo aver consumato limone, sciacquare la bocca con acqua per neutralizzare l’
  • Non lavare i denti immediatamente dopo aver consumato qualcosa di acido; aspettare 30 minuti prima di spazzolare per consentire allo smalto di rinforzarsi.
  • Utilizzare dentifrici al fluoro, aiuta a rinforzare lo smalto e a proteggerlo dall’
Se si riscontra sensibilità dentale o segni di usura dei denti, è consigliabile consultare un dentista per una valutazione e un eventuale trattamento.
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La parodontite si può curare con il laser?

Che cos'è la parodontite?
La parodontite è una patologia infiammatoria causata dalla presenza di placca sopra e sotto-gengivale che determina la progressiva perdita del supporto parodontale esitando nella perdita del dente. Evidenze scientifiche hanno dimostrato come la causa di questa patologia sia la presenza di batteri organizzati in un biofilm che aderisce alle superfici dentarie e in particolare alle radici1. In condizioni di salute, la profondità del solco gengivale varia tra i 2 e i 3 mm e durante le manovre di sondaggio parodontale non si registra alcun sanguinamento. Quando la malattia si manifesta, il sondaggio aumenta superando questi valori soglia con conseguente formazione della tasca parodontale spesso associata a sanguinamento profondo.
La terapia della malattia parodontale
La disgregazione e l’eliminazione del biofilm dalle aree sotto-gengivali mediante un’accurata strumentazione meccanica professionale sopra e sotto-gengivale (terapia non chirurgica) costituisce uno step fondamentale per arrestare la progressione della malattia e ridurre le tasche parodontali2. Dati di una recente revisione della letteratura hanno dimostrato che è possibile ridurre circa il 75% delle tasche dopo 6-8 mesi dal trattamento non chirurgico3. Quindi, il trattamento non chirurgico delle tasche parodontali, eseguito sia con strumenti ultrasonici che con strumenti manuali, rappresenta una terapia efficace ed efficiente. Tuttavia, dopo questa fase terapeutica possono residuare ancora tasche profonde (circa il 25%) che necessitano di ulteriore terapia, generalmente chirurgica. Per migliorare la performance della terapia non chirurgica, molti autori hanno proposto di associare alla strumentazione meccanica sotto-gengivale presidi aggiuntivi come terapia fotodinamica, irrigazione con gel antisettici/antibiotici, probiotici. Tuttavia, gli studi scientifici non riportano un miglioramento significativo nell’associare questi presidi alla strumentazione sotto-gengivale4. Nel 2020 gli esperti della Federazione Europea di Parodontologia (EFP) hanno proposto le Nuove Linee Guida per il trattamento della parodontite5. Queste linee guida sono state recepite e approvate nel 2021 dal Ministero della Salute. In breve, le Linee Guida prevedono 4 step di trattamento: terapia non chirurgica sopra e sotto-gengivale (Step 1 e Step 2), successiva rivalutazione, eventuale ristrumentazione o terapia chirurgica (Step III) e infine terapia di mantenimento (Step IV). In ogni step le Linee Guida raccomandano quale sia o non sia la terapia corretta da eseguire.
Il laser può essere utilizzato per curare la parodontite?
Negli anni il laser è stato proposto come presidio aggiuntivo alla strumentazione sotto-gengivale per ridurre le tasche parodontali e favorire la guarigione dei tessuti. Tuttavia, la strumentazione meccanica sotto-gengivale rimane indispensabile per rimuovere la placca. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che l’associazione del laser alla strumentazione non determina nessun miglioramento rispetto alla terapia convenzionale6. Per questo motivo, le Linee Guida Ministeriali per il trattamento della parodontite suggeriscono di non utilizzare il laser. L’utilizzo del laser non provoca effetti avversi, ma non apporta nessun beneficio aggiuntivo rispetto alla strumentazione tradizionale.
Conclusioni
Allo stato attuale non esiste un presidio aggiuntivo alla strumentazione non chirurgica sotto-gengivale che possa dare risultati clinici superiori alla terapia standard. Sebbene il laser sia uno strumento importante in molti campi della medicina, i dati scientifici e le Linee Guida ministeriali non ne suggeriscono l’utilizzo per il trattamento non chirurgico della parodontite.
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È vero che si possono inserire impianti anche senza osso?

Progetto Anti fake news - È vero che si possono inserire impianti anche senza osso? È vero che si possono inserire impianti anche senza osso?
Molto spesso ci si imbatte nelle pubblicità di centri odontoiatrici che sponsorizzano la possibilità di poter effettuare l’implantologia in tempi brevi anche in assenza di osso e senza ricorrere a procedure che richiedono tempo e più sedute come innesti d’osso.
Ma di quali procedure stiamo parlando?
Attualmente esistono protocolli di implantologia non convenzionale con cui si possono ottenere denti fissi in casi di grave mancanza di osso senza ricorrere ad innesti. Queste tecniche sono gli impianti zigomatici, impianti sotto-periostei, impianti pterigoidei e impianti a lama.
In che senso sono protocolli di implantologia non convenzionale?
Perché si tratta di tecniche particolari utilizzate in alternativa all’implantologia convenzionale in casi di particolare mancanza d’osso dei mascellari e che, sebbene esistano da tempo, negli ultimi anni hanno trovato larga diffusione grazie all’avanzamento tecnologico. In generale si tratta di tecniche chirurgiche avanzate, tecnicamente più complesse dell’implantologia convenzionale.
Cosa sono gli impianti zigomatici?
L’implantologia zigomatica si basa sul poter inserire impianti ancorati nell’osso zigomatico, un osso del cranio in corrispondenza degli zigomi, per riabilitazioni dell’arcata superiore. Si tratta quindi di impianti di lunghezza molto superiore ai convenzionali impianti dentali. A fronte di una chirurgia più invasiva, essa ha l’indubbio vantaggio di poter effettuare il carico immediato in casi di estremo riassorbimento del mascellare, ove le tecniche convenzionali non lo permetterebbero. Ha un successo elevato (circa il 95%) qualora essa venga applicata da operatori esperti e qualificati, ma l’occorrenza delle complicazioni non deve essere sottostimata.
Quali sono le complicazioni degli impianti zigomatici?
Rispetto all’implantologia convenzionale, vi è un maggior numero di complicazioni. Esse possono presentarsi sia durante la chirurgia, sia nell’immediato periodo post-operatorio che tardivamente. Le complicanze più comuni sono le sinusiti acute o croniche (che si manifestano in almeno il 10% degli impianti), infezioni della mucosa orale e fistole tra il seno mascellare e la cavità orale. Dal momento che la tecnica chirurgica prevede l’interessamento di ampie aree della faccia, non sono rare alterazioni della sensibilità nervosa, ematomi faciali e peri-orbitali e sanguinamento nasale. Complicanze molto più rare sono infezioni da aspergillosi(infezione da funghi), penetrazione della cavità orbitale e perfino intracerebrale. Sono stati riportati anche casi di morte durante chirurgia di implantologia zigomatica.
L’implantologia zigomatica è quindi una procedura pericolosa?
Prima di affrontare questo tipo di chirurgia è fondamentale che il paziente candidato venga selezionato con cautela, vagliando tutte le varie possibilità terapeutiche alternative. Sono essenziali quindi un’attenta pianificazione e la corretta scelta delle tecniche chirurgiche. È evidente che il posizionamento degli impianti zigomatici richiede un operatore che abbia una speciale formazione ed esperienza chirurgica, oltre al fatto che la chirurgia avvenga in strutture attrezzate per far fronte ad eventuali complicanze.
Cosa sono gli impianti sotto-periostei e quali sono le loro complicazioni?
Gli impianti sotto-periostei consistono in una struttura metallica che poggia direttamente sulla parte superiore dell’osso dei mascellari sulla quale viene fissata. Essa fornisce perni che protrudono attraverso il tessuto gengivale per l’ancoraggio di protesi. Questi impianti, quindi, non dovendo essere ancorati dentro l’osso, possono essere inseriti anche in casi di marcata atrofia(mancanza di osso) dei mascellari sia dell’arcata superiore che dell’arcata inferiore.
Rispetto all’implantologia convenzionale, gli impianti sotto-periostei hanno una sopravvivenza accettabile, ma un tasso relativamente alto di complicazioni, tra cui infezioni della mucosa, parziale esposizione degli impianti (fino al 25% dei casi) e fratture protesiche.
Cosa sono gli impianti pterigoidei e gli impianti a lama e quali sono le possibili complicazioni?
Si tratta di altri due tipi di implantologia non convenzionale. Gli impianti pterigoidei vengono utilizzati nel mascellare posteriore e sono un’alternativa a procedure di innesto per trattare casi di mancanza d’osso. Il posizionamento di un impianto pterigoideo richiede esperienza chirurgica in quanto devono essere inseriti attraverso strutture dure dell’osso mascellare per ingaggiare il processo pterigoideo dell’osso sfenoide, che sta posteriormente alla cavità orale.
Gli impianti a lama, invece, vengono utilizzati nei casi di creste ossee molto sottili, tipicamente nella mandibola posteriore, e consistono nell’inserimento di una sottile lama di titanio nell’osso residuo.
Anche se sia gli impianti pterigoidei che gli impianti a lama mostrano un’alta percentuale di osteointegrazione e possono aiutare i pazienti a evitare di ricevere innesti ossei, e quindi a piani di trattamento complessi, essi sono anche soggetti a una maggiore percentuale di insuccesso quando vengono posizionati da un chirurgo che non ha una sufficiente esperienza con le procedure.
Possibili complicazioni per questo tipo di procedure sono danno a strutture nervose, con alterazioni temporanee o permanenti alla sensibilità di zone della bocca e delle labbra, sinusiti acute e croniche, emorragie, infezioni con esposizione degli impianti e fratture delle componenti implantari.
Conclusioni
Le soluzioni implantari innovative per casi di estrema atrofia (perdita di osso) dei mascellari sono efficaci quando applicate correttamente e su pazienti selezionati. I livelli di sopravvivenza rispetto a procedure convenzionali, quali la rigenerazione ossea, sono similari e hanno il vantaggio di poter diminuire i tempi di attesa per la consegna delle protesi. I tassi di successo, rispetto alle procedure convenzionali come la rigenerazione ossea, sono simili e offrono il vantaggio di ridurre i tempi di attesa per le protesi. Tuttavia, c’è una leggera aumentata incidenza di complicazioni rispetto alle procedure tradizionali. È importante notare che mentre molte di queste complicazioni sono gestibili, alcune possono essere gravi e mettere a rischio la salute del paziente. Dato il carattere specifico di tali interventi, è essenziale che siano eseguiti da chirurghi ben addestrati in strutture specializzate. Per fare queste operazioni in modo sicuro, è importante studiare bene l’anatomia ossea del paziente, scegliere i candidati con cura e pianificare attentamente prima dell’intervento.
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È normale avere dolore e sensibilità dopo un’otturazione?

È normale avere dolore e sensibilità dopo un’otturazione?
Può capitare che dopo un’otturazione, il dente appena trattato, sia più sensibile agli stimoli termici o alla masticazione; quest’evenienza rappresenta una complicanza non così frequente se vengono applicati i corretti protocolli adesivi, (procedure con cui si incolla la resina composita al dente quando si eseguono le “otturazioni bianche”).
Quando si realizza un restauro (“otturazione”) il dentista prima apre una cavità nel dente per accedere e rimuovere meccanicamente tutto il tessuto cariato, quindi sigilla la dentina (lo strato più interno del dente rispetto allo smalto) esposta, con un sistema adesivo e poi ricostruisce il dente con delle resine composite.
La dentina, a differenza dello smalto, è un tessuto attraversato da numerosi tubuli al cui interno si trovano i prolungamenti delle fibre nervose pulpari, responsabili della sensibilità e degli stimoli dolorifici. Da qui la necessità di sigillare efficacemente questo strato.
La corretta applicazione delle tecniche adesive (di incollaggio dell’otturazione) consente di ottenere un forte legame tra l’otturazione e il dente.
Tuttavia, a volte, errori procedurali (contaminazione con la saliva, prolungata applicazione di acido sulla dentina, solidificazione incompleta della resina attraverso la luce polimerizzante( che indurisce la resina), insufficiente stratificazione del composito, ecc…) e condizioni strutturali (cavità molto strette e profonde) possono causare la formazione di micro bolle d’aria tra lo strato di resina e la dentina.
Se questo difetto è localizzato a livello del margine esterno del restauro, di fatto espone la dentina direttamente al cavo orale e a tutti gli stimoli esterni (acqua fredda, dolce, aria ecc…) comportando un’ipersensibilità del dente trattato.
Se il vuoto invece è localizzato all’interno della cavità, questo pur non essendo esposto agli stimoli esterni, si riempie d’acqua, come in tutti i tessuti biologici, e può determinare una sintomatologia dolorosa da compressione. Di fatto, quando il paziente, masticando qualcosa di consistente, va a comprimere la zona dell’otturazione soprastante, aumenta la pressione idrodinamica all’interno dei tubuli dentinali, sollecitando le fibre nervose e si avverte una “fitta dolorosa” transitoria.
Anche le fasi di rifinitura e lucidatura dei restauri giocano un ruolo critico nella prevenzione dell’ipersensibilità post operatoria, specie quando la base dell’otturazione è localizzata a livello radicolare, quindi molto profonda. In questa zona infatti le procedure di lucidatura mediante striscette abrasive o altri dispostivi, possono talvolta irritare i tessuti gengivali o rimuovere parte del cemento radicolare, esponendo direttamente la dentina all’esterno causando una sensibilità transitoria.
È vero che il trattamento di carie molto profonde causa sensibilità post operatoria?
La rete di tubuli dentinali è molto fitta in prossimità della polpa e si allarga invece a raggiera verso l’esterno. Di conseguenza quando si esegue un’otturazione molto vicina alla camera pulpare, poiché le terminazioni nervose dolorifiche sono molto vicine e il tessuto dentale è più sfavorevole, bisogna sigillare efficacemente la superficie tra dente e otturazione in quanto può essere più probabile una sensibilità postoperatoria.
Diventa perciò essenziale da parte del clinico seguire scrupolosamente tutte le procedure e i protocolli operativi, adottando le dovute accortezze in fase adesiva per ottenere un risultato efficace e predicibile dei restauri resinosi.
È vero che l’ipersensibilità passa spontaneamente?
Non sempre. La dentina esposta ad uno stimolo irritativo può mettere in atto una serie di processi riparativi di sclerosi per andare ad occludere e calcificare i tubuli coinvolti limitando la problematica fino alla scomparsa della sensibilità. Altre volte invece, è necessario rimuovere completamente l’otturazione esponendo la dentina e ripetere nuovamente tutte le procedure, realizzando un restauro più efficace.
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Perché il turismo dentale potrebbe non essere la migliore opzione per i Pazienti?


Perché il turismo dentale potrebbe non essere la migliore opzione per i Pazienti
Il turismo dentale, una pratica sempre più diffusa nel mondo contemporaneo, promette l’accesso a cure odontoiatriche a costi più contenuti rispetto a quelli praticati nei propri paesi di residenza. Prima riflessione: perché i costi dell’Odontoiatria sono così elevati in Italia?
Problemi importanti e non risolti sono il costo del lavoro del personale, l’IVA non deducibile su attrezzature e materiali, la deducibilità del costo delle cure per i pazienti ridotta al 19%.
È vero, il richiamo dei prezzi più convenienti delle cure all’estero può essere irresistibile: a questo punto è cruciale analizzare attentamente tutti gli aspetti coinvolti prima di decidere di intraprendere questa strada: quali sono i motivi per cui il turismo dentale potrebbe non essere la scelta più vantaggiosa per tutti i pazienti?
Qualità dei Trattamenti: Un’Analisi Critica
Una delle principali preoccupazioni riguardo al turismo dentale è la qualità delle cure ricevute all’estero. Mentre è indubbiamente vero che esistono cliniche di eccellenza sparse per il mondo, ci sono altrettante strutture che potrebbero non garantire gli stessi standard di sicurezza e la medesima competenza clinica. La mancanza di conoscenza della reputazione dei fornitori di cure dentali all’estero e della qualità delle terapie da questi erogata potrebbe esporre i pazienti a rischi importanti per la loro salute orale, sottolineando l’importanza di una ricerca accurata prima di prendere una decisione in merito.
Sfide Linguistiche e Culturali: Oltre i Confini
La comunicazione è fondamentale in tutti i rapporti di cura e le barriere linguistiche possono rappresentare una sfida significativa quando si ricevono terapie all’estero. Spiegare i sintomi o comprendere le istruzioni del medico potrebbe risultare difficile, influenzando negativamente la scelta del trattamento e la qualità dell’assistenza fornita. Inoltre, le differenze culturali possono avere un impatto negativo sulle aspettative del paziente e sulla gestione del dolore durante e dopo il trattamento dentale, aggiungendo un ulteriore livello di complessità al processo.
Costi Nascosti e Complicazioni Post-Trattamento: Un’Analisi Finanziaria Approfondita
Nonostante i prezzi iniziali possano sembrare allettanti, è essenziale considerare anche i costi nascosti associati al turismo dentale. Questi possono includere non solo i costi di viaggio e di alloggio, ma anche le eventuali complicazioni post-trattamento che richiedono ulteriori cure o successivi interventi.  Una valutazione accurata dei costi totali, compresi quelli potenziali e non immediatamente evidenti, è essenziale per una decisione consapevole.
Continuità delle Cure e Assistenza Post-Trattamento: La Prospettiva a Lungo Termine
Una volta tornati a casa, garantire la continuità delle cure e la necessaria assistenza post-trattamento potrebbe rivelarsi complesso. La mancanza di accesso al follow-up o all’assistenza in caso di emergenza potrebbe mettere a rischio la salute e il benessere del paziente, sottolineando l’importanza di considerare attentamente la disponibilità di tali servizi prima di intraprendere il turismo dentale.
Standard Regolatori e Garanzie: Un Quadro Normativo Differente
Gli standard regolatori e le garanzie offerte possono variare considerevolmente da un paese all’altro. Mentre alcuni paesi possono adottare regolamenti rigorosi per garantire la sicurezza e la qualità delle cure odontoiatriche, altri paesi potrebbero avere standard meno stringenti o non offrire garanzie a lungo termine sui trattamenti. Queste differenze possono influenzare le decisioni complessive del paziente nell’identificare il trattamento desiderato e ritenuto più adatto alle proprie necessità e sottolinea l’importanza di una valutazione critica prima di prendere una decisione.
Per concludere
In conclusione, sebbene il turismo dentale possa sembrare una soluzione allettante per chi cerca cure odontoiatriche a prezzi più accessibili, è essenziale valutare attentamente i rischi e le sfide associate. Prima di intraprendere questa strada, i pazienti dovrebbero cercare la diagnosi accurata e una o più proposte di trattamento da parte di professionisti locali qualificati e considerare attentamente tutti gli aspetti coinvolti.
La priorità deve sempre essere la salute complessiva e il benessere a lungo termine.
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È vero che via i denti via la parodontite?


È vero che se ho la parodontite sono destinato a perdere i miei denti quindi tanto vale non fare nulla e aspettare che cadano?
Assolutamente no! Le attuali terapie sono infatti in grado di fermare la progressione della parodontite permettendo di mantenere i denti. L’obiettivo del trattamento è quello di mantenere quanti più denti possibile. Questo vuol dire che per curare la malattia parodontale non solo non è necessario, ma è anche sbagliato togliere i denti, a meno che il dentista non valuti che sono davvero irrimediabilmente compromessi. Per mantenere quanti più denti possibile, è fondamentale che ci sia un impegno di attiva collaborazione tra odontoiatria, igienista e, soprattutto, con il paziente.
È vero che se ho la parodontite, tolgo tutti e denti e metto degli impianti, non avrò più problemi?
Purtroppo non è così. La cura della parodontite non è l’estrazione dei denti e la loro sostituzione con degli impianti.
La parodontite viene definita una patologia multi-fattoriale, che vuol dire che non c’è solo un fattore che la causa. Oltre ai batteri che abbiamo in bocca, la componente genetica (definita anche suscettibilità) ha un peso molto importante nello sviluppo della malattia, insieme a fattori comportamentali/ambientali. Per questo, se abbiamo la parodontite, è probabile che anche qualcuno dei nostri genitori, nonni o parenti in generale ne sia o ne sia stato affetto.
L’estrazione dei denti non modifica la nostra suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia.
La parodontite non arreca danno direttamente al dente, ma lo arreca ai suoi tessuti di sostegno che sono costituiti da tessuto osso, legamento parodontale e tessuto gengivale.
Quando togliamo i denti verrà rimosso solo il legamento parodontale (tra l’altro il più resistente all’attacco della malattia) e rimarranno gli altri due che, a questo punto, dovranno proteggere gli impianti dalla malattia parodontale che sugli impianti prende il nome di perimplantite.
Quindi in realtà un impianto nella bocca di un paziente parodontale è meno resistente alla malattia rispetto ad un dente.
È vero che se ho la parodontite e non tolgo subito i denti, poi non avrò più osso per fare gli impianti?
È vero che se la malattia non viene trattata, la sua progressione può portare alla scomparsa dell’osso attorno ai denti. In assenza di trattamento adeguato quindi, la quantità di osso disponibile per l’inserimento implantare può risultare insufficiente.
La parodontite si può (e si deve) curare! Quando viene curata, la perdita di osso attorno ai denti si arresta e non progredisce. Questo fa sì che il dente possa essere mantenuto e che, se l’estrazione si dovesse rendere necessaria per altri motivi come carie o fratture, l’osso presente potrebbe essere, nella maggior parte dei casi, sufficiente per inserire un impianto.
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Un’Otturazione dura per sempre?

È vero che un’otturazione dura per sempre? È vero che un’otturazione dura per sempre?
È davvero complicato rispondere con precisione a questa domanda, poiché sono molti i fattori che incidono sulla reale durata nel tempo delle otturazioni dentarie.
Se fino a qualche anno fa le otturazioni “bianche”, in resina composita, erano meno longeve rispetto a quelle realizzate con la meno estetica amalgama, nell’ultimo decennio i progressi e lo sviluppo dei materiali adesivi hanno di fatto cancellato queste differenze in termini di durata nel tempo. Volendo sintetizzare i dati dei vari studi sulla longevità media, le otturazioni hanno una durata variabile tra i e 20 anni (la percentuale media di sopravvivenza tra i 5 e i 10 anni varia da 77,4% a 97,7%, tra gli 11 e 20 anni varia da 43% al 98,9% a seconda dei diversi studi).
Quali sono le cause di insuccesso delle otturazioni?
Le principali cause di insuccesso sono le fratture e le richieste di natura estetica per quanto riguarda i denti anteriori, le fratture e la carie secondaria nei posteriori, l’infiltrazione marginale o il distacco per le otturazioni dei colletti.
Quali fattori influiscono sulla longevità delle otturazioni?
La dimensione è uno dei principali fattori che influiscono sulla durata delle otturazioni: otturazioni piccole e intracoronali sono infatti più longeve di otturazioni più estese che invece sono più soggette a frattura.
Un altro fattore da considerare è la localizzazione dei restauri sul dente: le cavità sulle superfici occlusali (le superfici che masticano) dei denti infatti offrono un substrato ideale (smalto e dentina) per i materiali adesivi, mentre i restauri che coinvolgono la zona cervicale dei denti (i colletti) spesso hanno i margini della cavità in dentina radicolare e cemento: l’ adesione dei materiali è meno affidabile in questi tessuti, cosa che di fatto ne aumenta il rischio di infiltrazione marginale e di distacco.
Ci sono poi fattori individuali correlati al paziente. Nei soggetti che per vari motivi (dieta, igiene orale, predisposizione genetica, ecc…) si sono già sottoposti a numerosi trattamenti odontoiatrici restaurativi, il rischio di sviluppare carie primaria e secondaria (a livello dell’interfaccia tra il dente e un’otturazione) è sensibilmente maggiore.
Si è visto inoltre che, sebbene sia complicato da valutare negli studi clinici, anche le parafunzioni come il bruxismo (digrignamento e serramento dei denti) e e l’erosione chimica aumentano i rischi di frattura dei restauri e ne riducono la durata.
Infine la grande variabilità in termini di durata nel tempo delle otturazioni può dipendere dal dentista stesso. La perizia, l’abilità e soprattutto la preparazione del professionista incide notevolmente sulla longevità dei restauri che realizza.
Per massimizzare le proprietà bio-meccaniche dei materiali con cui vengono eseguiti i restauri, è fondamentale attenersi a procedure ben definite e codificate (es. applicazione della diga di gomma per evitare la contaminazione della saliva, l’applicazione dei sistemi adesivi con le modalità e i tempi indicati dalle case produttrici, la fotopolimerizzazione delle resine composite con lampade performanti per il tempo necessario ecc…).
L’applicazione sistematica e rigorosa dei protocolli validati dalla letteratura internazionale, consente la realizzazione di trattamenti predicibili e duraturi nel tempo. Gli errori procedurali del singolo operatore invece possono significativamente ridurre la durata dei restauri realizzati.
È inoltre importante che con le otturazioni venga ripristinata la corretta morfologia degli elementi dentari coinvolti affinché il paziente sia agevolato nelle manovre di igiene domiciliare. Anatomie errate e sommarie. (mancanza del punto di contatto, debordi, gradini o ruvidità dovute a mancata rifinitura) spesso favoriscono l’accumulo di cibo (frequentemente a livello interprossimale, cioè tra un dente e l’altro) e placca, aumentando di conseguenza il rischio di carie secondaria e la comparsa di infiammazione gengivale.
È vero che le otturazioni danneggiate vanno sempre sostituite?
Non necessariamente. Piccoli difetti delle otturazioni in composito come chipping (piccole fratture o scheggiature) e discolorazioni marginali possono infatti essere gestiti senza rimuovere interamente il restauro esistente, riparati con delle aggiunte o sigillati a livello dei margini, purché non sussistano problematiche strutturali o cariose.
Ove ci siano i presupposti, la riparazione è sempre preferibile alla sostituzione dei restauri perché più conservativa della struttura dentale residua.
Cosa posso fare per aumentare la durata delle mie otturazioni?
Uno stile di vita corretto e una dieta sana, assieme ad una adeguata igiene orale quotidiana contribuiscono a diminuire il rischio carie del singolo paziente, aumentando la durata dei restauri.
In conclusione è fondamentale prendersi cura della salute orale nel suo complesso, rivolgendosi a professionisti preparati e responsabilizzandosi sulla igiene quotidiana della propria bocca.
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È vero che una corona è per sempre?

È vero che una corona è per sempre?
Che cos’è e a che cosa serve una corona protesica?
Le corone sono dispositivi protesici utilizzati per sostituire, modificare oppure rinforzare un elemento dentario che ha perso, per carie, per frattura o per restauri ripetuti, considerevoli quantità di tessuto.
Possono essere applicate su un elemento naturale oppure su un impianto osteointegrato. Singole oppure unite a formare ponti, fanno parte della famiglia della protesi fissa.
Oggi le corone possono essere realizzate utilizzando diversi materiali con processi produttivi moderni e molto precisi, nel rispetto dell’anatomia dentale, dell’occlusione e dell’estetica.
La protesizzazione di un elemento dentario è però una procedura irreversibile; pertanto, devono sussistere reali indicazioni cliniche affinché il trattamento si possa considerare appropriato e risulti efficace nel tempo.
Che cosa si intende per moncone?
Il moncone è la base sulla quale una corona protesica viene applicata. Può essere “naturale” nel caso di denti definiti pilastro, piuttosto che implantare se ci riferiamo appunto a corone applicate su impianti.
Nel primo caso il dente pilastro deve essere opportunamente preparato (“limato”) per ottenere lo spazio necessario per ricevere il manufatto protesico, nel secondo caso il moncone viene scelto e considerato come un dispositivo di connessione tra impianto e corona.
A cosa serve la corona provvisoria? È obbligatorio il suo utilizzo?
La corona provvisoria, solitamente realizzata in una speciale resina acrilica, svolge la funzione di proteggere il moncone protesico durante le varie fasi del trattamento, garantendo la funzione masticatoria, l’estetica e la massima protezione anche dei tessuti molli (gengive).
Per questi motivi il suo impiego è assolutamente raccomandato.
Le corone protesiche sono per sempre?
Questa risulta un quesito alquanto spinoso, un dubbio spesso sollevato dai pazienti prima di intraprendere il percorso riabilitativo.
La risposta è NO, non esiste alcun dispositivo protesico eterno. I motivi di tale risposta sono da ricercare nella biologia del paziente: i processi di invecchiamento dell’organismo umano portano alla modifica nel tempo dei tessuti duri (abrasione dei denti) e molli, per non parlare della funzione masticatoria che si modifica nel tempo.
Tuttavia, i risultati a lungo termine sulla sopravvivenza delle corone protesiche sono incoraggianti, purché vengano rispettati scrupolosamente i controlli periodici e adottata una corretta igiene orale domiciliare.
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È vero che si possono sempre avere denti fissi senza problemi in un giorno?


È vero che si possono sempre avere denti fissi senza problemi in un giorno?
Sempre più frequentemente la pubblicità aggressiva di molti centri odontoiatrici anche esteri presenta proclami come “denti fissi in un giorno” o “implantologia immediata”. Ma è sempre possibile farlo? E perché altri colleghi non propongono ai propri pazienti lo stesso approccio? Facciamo un po’ di chiarezza rispondendo a 4 domande:
Devo ricevere degli impianti dentali, ma il dottore mi ha detto che non posso mettere i denti subito. Perché?
Gli impianti dentali sono delle radici artificiali alla cui superficie si connettono e crescono le cellule ossee. Si forma in questo modo un’unione molto resistente in grado di sopportare i carichi che si sviluppano durante la masticazione. Il legame diretto tra l’impianto e l’osso, chiamato osteointegrazione, è frutto di un processo di guarigione molto delicato che inizia dal momento in cui l’impianto viene inserito e che richiede del tempo.
Quindi quanto dura questo periodo di guarigione ossea?
Rispetto ai protocolli originali dell’implantologia, che vedevano l’attesa di 4 mesi per l’arcata inferiore e di 6 mesi per l’arcata superiore, i tempi di guarigione sono stati rivisitati. L’adozione di forme implantari più aggressive e ottimizzate per l’osso a disposizione e superfici implantari altamente bio-compatibili, consentono oggi, in molti casi, di optare per periodi di guarigione più brevi.
Si sente spesso parlare di carico immediato. Di cosa si tratta?
Il carico immediato è un protocollo chirurgico e protesico per cui la protesi dentale viene connessa all’impianto il giorno stesso o nei giorni immediatamente successivi all’inserimento dell’impianto. In questi casi l’impianto viene inserito alla ricerca di una stabilità maggiore, tale da immobilizzare l’impianto nella sua sede prima che avvenga la guarigione ossea. Numerosi studi hanno provato che se il protocollo viene adottato correttamente, le percentuali di successo funzionale ed estetico di tali impianti sono molto elevate.
Perché quindi tale protocollo non viene praticato sempre?
Perché le condizioni dell’osso e dei tessuti gengivali in cui deve essere inserito l’impianto non sono sempre favorevoli al carico immediato. Molto spesso ci troviamo di fronte a casi in cui l’osso è insufficiente in altezza, spessore e/o qualità, e per cui sono eventualmente necessarie altre procedure chirurgiche aggiuntive, come ad esempio innesti di osso o di altri biomateriali. In tali casi, pertanto, può risultare più prudente attendere un periodo di guarigione più lungo, solitamente dai 4 agli 8 mesi. Il periodo di guarigione ottimale, quindi, dipende da molteplici fattori e potrebbe variare da caso in caso. Inoltre, le condizioni del paziente, il suo grado di collaborazione e il suo tipo di masticazione possono portare il dentista a decidere per un approccio tradizionale.
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È vero che il dente devitalizzato può continuare a fare male?

È vero che il dente devitalizzato può continuare a fare male?
È vero che il dente devitalizzato può continuare a fare male?
Quando un dente presenta una carie estesa e profonda, si può rendere necessaria la disinfezione dei canali delle radici di un dente (devitalizzazione o più correttamente terapia canalare o terapia endodontica)
Questa terapia implica la rimozione del tessuto presente all’interno dei canali e la detersione di tutto lo spazio all’interno del dente per alleviare il dolore e curare l’infezione prevenendo ulteriori danni.
Nelle ore successive al trattamento possono comparire disagi o dolore che sono da considerarsi assolutamente normali dopo queste procedure.
Il dolore che si può presentare nel giro di poche ore è conseguenza di molteplici fattori, ma nella maggior parte dei casi è destinato a scomparire al massimo entro un paio di settimane.
sintomi sono dovuti prevalentemente ad una infiammazione dell’area intorno alla radice del dente (legamento parodontale e tessuti periapicali): nonostante il dente sia stato privato delle sue componenti “sensibili”, può a volte rimanere dolente a causa di una infezione preesistente oppure per la fuoriuscita dall’apice del dente di residui della polpa, batteri e tossine o ancora per l’irritazione dovuta ai materiali e disinfettanti necessari per il trattamento stesso. La sintomatologia può presentarsi nel giro di poche ore dopo il trattamento e normalmente aumenta con gli stimoli pressori (masticazione, spazzolamento, semplice pressione con le dita).
Fortunatamente il dolore può essere alleviato e ridotto quasi fino a farlo scomparire attraverso una terapia antidolorifica. Gli antidolorifici più utilizzati rientrano nella categoria denominata FANS che agiscono bloccando le prostaglandine, ovvero i mediatori chimici che attivano e sostengono il processo infiammatorio, ottenendo di conseguenza un effetto analgesico. Tra i più comuni possiamo annoverare l’Ibuprofene (es. Brufen®️, Moment®️, Nurofen®️), il Ketoprofene (es. Oki®️) o il Ketorolac (es. Toradol®️). Rientra in questa categoria, sebbene più con effetto antipiretico (antifebbrile), anche il Paracetamolo (es. Tachipirina®️, Zerinol®️). Tutti questi farmaci possono assicurare un efficace controllo del dolore soprattutto nelle fasi iniziali, ma devono essere assolutamente prescritti dal dentista e non assunti spontaneamente.
Il dolore dopo un trattamento endodontico può variare da persona a persona e anche da dente a dente. Alcuni pazienti potrebbero non provare alcun dolore, mentre altri potrebbero avvertire sensazioni di disagio per un breve periodo. Ecco alcune cose da tenere a mente riguardo al dolore:
Durata: un po’ di dolore o fastidio è normale dopo il trattamento endodontico. Tuttavia, questo dolore di solito scompare in pochi giorni.
Farmaci Antidolorifici: il vostro dentista vi prescriverà antidolorifici se ritiene che siano necessari. È importante seguire attentamente le istruzioni per l’uso e non superare mai la dose raccomandata.
Evitare Cibi Duri: dopo il trattamento, evitate cibi duri per alcuni giorni. Consigliabile optare per alimenti morbidi e a temperatura ambiente.
Uso Responsabile degli Antibiotici: gli antibiotici sono farmaci potenti utilizzati per combattere le infezioni batteriche. Tuttavia, non sono sempre necessari dopo un trattamento endodontico perché devono essere prescritti solo quando c’è una chiara evidenza di un’infezione batterica in atto. E’ essenziale tenere presente che l’uso eccessivo o inappropriato degli antibiotici può portare alla resistenza batterica, rendendo questi farmaci meno efficaci in futuro non solo per l’individuo stesso, ma per l’intera collettività.
Consultare il Dentista: Se si sospetta un’infezione o si avverte un peggioramento dei sintomi dopo il trattamento, consultate il vostro dentista anziché assumere antibiotici a proprio piacimento.
In conclusione, il dolore dopo un trattamento endodontico è normale e può essere gestito con farmaci antidolorifici e semplici accorgimenti. In caso di dolore post-operatorio il dentista prescriverà farmaci antinfiammatori che portano alla diminuzione o alla scomparsa della sintomatologia.
Gli antibiotici devono essere usati solo quando necessario per trattare un’infezione batterica diagnosticata dal dentista.
È vero che un dente devitalizzato può ricominciare a fare male?
In alcuni casi, la sintomatologia a carico di un dente devitalizzato può continuare o presentarsi anche dopo molto tempo.
In questo differente scenario le cause più frequenti possono essere:
  • disinfezione incompleta del canale radicolare, dovuta a difficoltà o alterazioni anatomiche;
  • parziale o mancato reperimento di uno o più
  • frattura parziale o totale delle radici dell’
Il dentista, o lo specialista che si occupa di queste problematiche (endodontista), valuterà se procedere con il ritrattamento dei canali, con l’apicectomia della radice o, in caso di frattura delle radici, con l’estrazione del dente.
Il ritrattamento è un re-intervento atto a risolvere le problematiche pre-esistenti; pertanto è indispensabile che l’operatore possieda adeguate competenze e strumenti adatti ad ovviare alle complessità anatomiche o tecniche del re-intervento.
L’apicectomia invece prevede una piccola incisione della gengiva per poter esporre e rimuovere l’apice infetto o fratturato della radice del dente.
Qualora non fosse possibile né il ritrattamento né l’apicectomia il dentista prenderà in considerazione l’estrazione del dente, un atto irreversibile che pertanto va valutato solo dopo aver escluso le altre possibilità.
Il dentista fornirà tutte le informazioni relative alle migliori scelte terapeutiche possibili per sostituire il dente estratto
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È vero che un dente devitalizzato è più fragile e si può fratturare?

È vero che un dente devitalizzato è più fragile e si può fratturare?
È vero che un dente devitalizzato deve essere sempre ricoperto con una corona?
Il restauro del dente devitalizzato continua ad essere un argomento di notevole interesse all’interno della comunità scientifica. Basta una otturazione o è necessario qualche cosa di più?
Per rispondere a queste domande è innanzitutto necessario comprendere le differenze che esistono tra un dente vivo ed un dente devitalizzato.
Il dente devitalizzato è più fragile?
Un dente (salvo rare eccezioni) necessita di essere devitalizzato in seguito a processi o eventi che ne determinano una importante perdita di struttura, come ad esempio la presenza di carie estese o di fratture che arrivano a coinvolgere la polpa dentale.
Ci troviamo quindi di fronte a denti spesso molto debilitati che, in seguito alla procedura di devitalizzazione, vengono ulteriormente privati della loro struttura centrale che svolge un ruolo determinante nella distribuzione delle forze.
Per questo motivo la struttura rimanente sarà soggetta ad una deformazione ( e quindi a un rischio di frattura ) decisamente superiore rispetto a quella di un dente non devitalizzato.
Che tipo di restauro selezionare?
Alla luce di quanto detto sopra, il dentista dovrà valutare attentamente la quantità e la tipologia di struttura dentale sana rimanente e, in funzione di questi parametri, potrà selezionare la tipologia di restauro più idonea al caso specifico.
La presenza di ampie cavità e quindi di pareti rimanenti di spessore esiguo, scenario molto frequente nel dente devitalizzato, richiederà la riduzione in altezza di queste ultime e la realizzazione di un tipo di restauro che sostituisca completamente la porzione occlusale del dente.
Se in passato la corona (capsula) risultava spesso essere l’unica tipologia di restauro disponibile, oggigiorno le tecniche adesive consentono l’utilizzo di restauri parziali che riabilitano esclusivamente la porzione di dente da reintegrare. I restauri parziali adesivi vengono applicati con tecniche appunto adesive che consentono di ridurre enormemente l’entità della rimozione di tessuto sano, spesso necessaria in caso di realizzazione di una corona tradizionale. Quest’ultima resta la opzione da preferire (associata eventualmente all’utilizzo di perni radicolari) in situazioni di grave compromissione, in cui cioè la quantità di struttura dentale residua sia scarsa se non quasi inesistente.
La realizzazione di una otturazione rimane invece confinata ai rari casi in cui la quantità di distruzione dentale sia molto limitata o dovuta esclusivamente alla rimozione di tessuto dentale necessario alla realizzazione della devitalizzazione stessa.
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È vero che per avere un sorriso bello è necessario avere i denti bianchissimi?

È vero che per avere un sorriso bello è necessario avere i denti bianchissimi?
Per avere un sorriso bello è necessario avere i denti bianchissimi?
I denti bianchi possono essere considerati esteticamente gradevoli, ma non sono l’unico elemento importante in un sorriso.
La bellezza di un sorriso dipende da molteplici fattori, tra cui la forma e la simmetria del viso, la forma dei denti, la salute gengivale e l’armonia generale dell’aspetto del viso.
Non tutti preferiscono denti estremamente bianchi e le preferenze possono dipendere dalla cultura e dal contesto sociale. Alcune persone possono trovare molto attraenti i denti bianchissimi, mentre altre potrebbero preferire un aspetto più naturale.
Quali sono gli elementi che rendono un sorriso perfetto?
Gli elementi che rendono un sorriso perfetto sono diversi: il rapporto dei denti con le gengive e le labbra, la curva del sorriso, la forma, la simmetria e il colore dei denti.
In un bel sorriso deve essere presente una armonia statica e dinamica tra labbra e denti, quindi anche la componente labiale è fondamentale, sia nella forma che nelle proporzioni.
La linea del sorriso passa sul profilo incisale (il margine inferiore) dei quattro incisivi superiori, correndo parallela al margine interno del labbro inferiore.
La curva di un sorriso ideale è rivolta verso l’alto e deve seguire l’andamento del labbro inferiore.
I due incisivi centrali e i due canini devono avere la parabola gengivale sulla stessa linea, mentre i due laterali devono avere la parabola gengivale più bassa di quella degli incisivi e dei canini.
Si devono vedere correttamente i denti, in particolare quelli dell’arcata superiore; le gengive dovrebbero essere simmetriche e restare nascoste dalle labbra.
Un sorriso armonioso ha solitamente l’arcata dentale superiore ben in vista rispetto all’inferiore e le gengive nascoste dalle labbra, ma spesso si può riscontrare un sorriso gengivale, detto anche “gummy smile” , quando il labbro superiore non copre completamente la gengiva.
Secondo i canoni estetici ci deve essere simmetria tra la parte destra e sinistra del volto e questa simmetria deve essere presente sia sul piano verticale, valutando la linea mediana perpendicolare che passa tra i due incisivi centrali, sia su quello orizzontale, valutando la linea parallela tra le due commissure labiali (gli angoli della bocca) e il piano bipupillare.
Di conseguenza anche nella dentatura la simmetria deve essere presente sul piano verticale e orizzontale e si deve riprodurre un collegamento armonico tra le emiarcate destra e sinistra.
Spesso si sente parlare della proporzione aurea che è una particolare relazione tra forme e numeri che rende un oggetto oppure un’immagine attraente per il nostro cervello: in bocca è rappresentata da una griglia dimensionale in cui i centrali superiori sono valutati in funzione della larghezza, che deve essere in una proporzione precisa con le dimensioni del canino o del primo premolare. La linea e i punti di contatto tra i denti, soprattutto nei settori anteriori, sono un fattore di equilibrio che viene percepito, quando presente, come elemento estremamente gradevole. Molto importante è valutare anche l’effetto prospettico: se un elemento dentale non è correttamente posizionato o allineato, se i denti protesici hanno una differenza nella lunghezza o una forte differenza cromatica, questi elementi sono in grado di incidere sull’effetto prospettico, facendo perdere gradevolezza al sorriso.
Infine abbiamo il colore dei denti, determinato dai prismi dello smalto. La principale causa di discromia è la cattiva igiene orale, che determina l’accumulo di placca e tartaro, ma la tonalità più scura dei denti può essere influenzata anche da fattori come l’età, l’ereditarietà, la dieta (abusi di the, caffè e vino rosso) e il consumo di tabacco.
Come si possono avere denti più bianchi?
Per avere denti più bianchi sono disponibili trattamenti odontoiatrici come lo sbiancamento dentale professionale o l’uso di prodotti sbiancanti domiciliari da utilizzare comunque sempre sotto la supervisione di un professionista per evitare danni ai denti o alle gengive.
La natura dei denti però varia da persona a persona e ci sono altre condizioni come il sovraffollamento dentale e l’usura causata da bruxismo (digrignamento dei denti) che possono determinare forme e posizioni dei denti non in piena armonia con il resto del volto.
Una soluzione estetica per avere dei denti bianchi e con forme esteticamente più gradevoli è quella di ricorrere alle faccette dentali. Le faccette sono protesi sottili realizzate in ceramica o composito che vengono applicate sulla superficie anteriore dei denti e sono progettate per migliorare l’aspetto estetico dei denti, correggendo difetti come le discromie importanti, il disallineamento dei denti o i diastemi.
In conclusione, il sorriso ideale è da sempre rappresentato da una combinazione di fattori complessi che, quando rientrano nei parametri corretti, determinano una armonia che si traduce in fascino.
Dobbiamo però ricordarci sempre che per avere un sorriso bello è importante la salute orale generale: denti sani e gengive in buona salute sono fondamentali per ottenere un sorriso attraente.
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È vero che non c’è differenza tra un dente vitale e un dente devitalizzato?

È vero che non c’è differenza tra un dente vitale e un dente devitalizzato?
Quando un dente è considerato vitale?
Un dente si può considerare vitale quando la polpa dentale, più comunemente conosciuta come nervo, continua a fornire al dente il necessario apporto di sangue, ossigeno e sostanze nutritive indispensabili per il suo funzionamento. La polpa dentaria è un tessuto connettivo morbido al cui interno sono presenti terminazioni nervose e vasi sanguigni che ne garantiscono la vitalità e diversi tipi di cellule che permettono il suo funzionamento e il mantenimento di uno stato di salute: tra queste le cellule odontoblastiche sono molto importanti perché producono la dentina, la parte di dente più interna che è rivestita dallo smalto. Una volta che la polpa dentaria viene asportata con un trattamento endodontico (devitalizzazione), per esempio a causa di una carie profonda, una frattura dentale o un trauma, il dente perde la sua vitalità e, di conseguenza, tutte quelle funzioni specifiche che lo contraddistinguono.
Quali sono le funzioni della polpa dentale?
Le funzioni della polpa sono:
  • funzione nutritiva;
  • funzione protettiva: la polpa si oppone all’ invasione dei batteri che sono presenti nel cavo orale;
  • funzione sensoriale: la polpa permette la percezione degli stimoli termici come la sensazione di freddo o di caldo ai denti. In un dente sano queste sensazioni solitamente non vengono avvertite come spiacevoli. Quando invece la percezione degli stimoli diventa dolorosa, è possibile identificare la presenza di un problema come, per esempio, una carie che ha provocato una patologia della polpa.
  • mantenimento del colore naturale: la presenza di un dente grigio oppure rossastro sono segni di un problema alla polpa dentale. La discolorazione del dente può avvenire a seguito di una necrosi dentale, cioè la morte del nervo, possibile anche a seguito di eventi traumatici o per la presenza di riassorbimenti , processi degenerativi e irreversibili che erodono il dente dal suo interno sostituendolo con un tessuto di colore rosso/rosa.
Cosa succede quando la polpa viene rimossa dal dente?
Quando la polpa dentale viene rimossa dal dente, la camera pulpare e i canali radicolari rimangono vuoti e l’elemento dentale non è più sensibile ai cambiamenti di temperatura e di pressione oltre a poter essere invaso più facilmente dai batteri esterni del cavo orale. L’assenza della polpa riduce l’idratazione del dente e non permette la produzione di proteine e di dentina, come solitamente avviene durante tutta la vita dell’elemento dentale.
Quale è l’effetto di una devitalizzazione?
La devitalizzazione è un trattamento che prevede la rimozione della polpa dentale, la detersione della camera pulpare e dei canali radicolari e l’otturazione di questi ultimi. Durante questo processo solitamente si rimuove non soltanto la polpa ma anche una buona parte del tessuto smalto-dentinale presente. Durante la devitalizzazione è infatti necessario rimuovere la carie (quando presente), la dentina di accesso alla camera pulpare e parte della dentina dei canali radicolari che viene asportata durante la detersione preparatoria all’otturazione canalare. L’assenza di polpa e la riduzione del tessuto dentale disponibile provocherà conseguentemente un indebolimento del dente che risulterà più fragile e dovrà essere successivamente trattato e ricostruito al fine di ridurne la possibilità di frattura.
Il dentista, valutando la struttura dentale residua e gli aspetti funzionali del dente devitalizzato, potrà scegliere tra ricostruzioni dirette in composito o indirette mediante intarsi o corone complete realizzate con materiali diversi.
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È vero che i miei denti sono fragili?

È vero che i miei denti sono fragili?
La carie
La carie è una patologia infettiva multifattoriale che colpisce circa l’80% della popolazione mondiale ed è essenzialmente un processo di demineralizzazione dei tessuti duri del dente (smalto e dentina), dovuta ad un attacco acido batterico.
Il cavo orale infatti è popolato da oltre 300.000 specie batteriche opportuniste mantenute in equilibrio dall’azione della saliva, del fluido prodotto nel solco gengivale e dalla rimozione meccanica ottenuta con le manovre di igiene orale.
I batteri aderiscono rapidamente alle superfici dentarie in vari strati, formando la placca dove le specie cariogene (Streptococco Mutans, lactobacillus acidophylus ecc..) sono in grado di metabolizzare gli zuccheri introdotti con la dieta producendo enzimi e acido lattico che contribuiscono ad abbassare progressivamente il livello di acidità nel cavo orale. Superato il valore critico (ph 5,5) inizia la dissoluzione parziale dei cristalli di idrossiapatite che costituiscono i tessuti duri dentari. Questa perdita di sali minerali dalle superfici dentali porta inizialmente ad un irruvidimento delle stesse e successivamente alla cavitazione. Questo processo nelle prime fasi può essere reversibile ad opera di Calcio, fosfati e fluoruri che, diffondendo all’interno dei tessuti dentari, sono in grado di remineralizzare le lesioni non cavitate.
Asintomatica nelle fasi iniziali, la carie causa dolore e sensibilità agli stimoli termici e chimici quando diffonde nella dentina, sino a determinare la necessità della devitalizzazione (cura canalare) quando raggiunge la polpa dentaria.
È vero che i miei denti sono fragili e si cariano facilmente?
Esiste sicuramente una predisposizione individuale: alcune persone sono più cariorecettive di altre per vari motivi:
La dieta rappresenta un fattore importante per il controllo della carie: cibi acidi e zuccherati assunti con frequenza durante la giornata contribuiscono a mantenere basso il ph, favorendo la corrosione dei tessuti dentari; alimenti alcalini, poco appiccicosi e di consistenza dura o fibrosa (es latticini, verdure crude, frutta secca, frutta fresca non acida come mele e pere…) invece svolgono un’azione protettiva;
Una corretta igiene orale è fondamentale per rimuovere meccanicamente con le setole dello spazzolino e con il filo interdentale la placca batterica dalle superfici dei denti.
Malposizione dentaria
elementi malposti o accavallati e solchi occlusali particolarmente profondi possono rendere più complesse le manovre di igiene orale domiciliare e conseguentemente facilitano l’accumulo di placca sulle superfici meno accessibili
Modificazioni qualitative e quantitative della saliva
La saliva svolge un importante ruolo nel controllo della carie:
  • asporta e “lava via” una componente batterica che viene eliminata con la deglutizione
  • Contiene vari ioni, fosfati e carbonati che esercitano un potere tampone del ph, limitando l’azione cariogena dei batteri
A questo scopo le ghiandole salivari producono circa 0,8-1,5 L di saliva al giorno (la produzione di saliva cala notevolmente durante le ore notturne: per questo è importante lavare i denti prima di coricarsi).
Persone con un flusso salivare ridotto (saliva di aspetto schiumoso) e con un ph più acido hanno un rischio cariogeno più elevato rispetto ad altre con una saliva più abbondante, di aspetto acquoso e un ph più basico con un maggior potere tampone
Alcune patologie come la sindrome di Sjogren, l’assunzione di alcuni farmaci e terapie oncologiche posso causare una riduzione della produzione e un’alterazione qualitativa della saliva, con conseguente aumentata cariorecettività.
Durante la gravidanza, scompensi ormonali alterano la composizione della saliva mentre il vomito ricorrente nel primo trimestre contribuisce ad abbassare il ph del cavo orale, predisponendo allo sviluppo della carie. Per lo stesso principio, persone con reflusso gastro esofageo, disturbi digestivi o con disturbi alimentari hanno un rischio cariogeno maggiore.
Fattori genetici invece sono alla base di problematiche legate ad una formazione incompleta o addirittura assente dello smalto dentale che, in condizioni fisiologiche, costituisce il primo fronte di difesa dalla carie.
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È vero che un dente devitalizzato deve sempre essere coperto con una corona?


È vero che il dente devitalizzato deve essere ricostruito con particolare attenzione?
La ricostruzione di un dente devitalizzato è un momento fondamentale per la durata del dente così trattato all’interno della bocca del paziente.
La ricostruzione deve idealmente: 1) proteggere il dente da fratture o incrinature che possano portare all’estrazione, 2) sigillare in modo ermetico la porzione visibile del dente evitando possibili infiltrazioni di batteri e 3) conferire, oltre alla protezione meccanica, anche una valida estetica.
Vi è una strettissima correlazione tra la terapia endodontica ed il restauro che dobbiamo eseguire a livello della corona dentale. La letteratura, in maniera chiara, suggerisce che il successo a lungo termine della devitalizzazione è anche dipendente dalla qualità della ricostruzione che si riesce ad ottenere a livello della corona del dente. La devitalizzazione prevede che i canali delle radici di un dente siano sagomati, detersi, asciugati e sigillati in modo ermetico, ma, allo stesso modo, al fine di proteggere tutto questo lavoro, sarà fondamentale eseguire un restauro scrupoloso e preciso del dente.
È vero che il dente devitalizzato deve essere ricostruito in tempi brevi?
La mancata esecuzione in tempi brevi di un restauro adeguato, esporrà i canali della radice e il materiale all’interno (guttaperca e cemento) al contatto diretto con i batteri normalmente presenti nella saliva e quindi al rischio di una ri-colonizzazione da parte degli stessi dello spazio faticosamente deterso e sigillato durante la seduta di devitalizzazione. Questo passaggio di batteri può portare ad un’infezione secondaria attorno all’apice della radice, determinando lo svilupparsi nel tempo del cosiddetto granuloma.
Come si sceglie la ricostruzione più adatta?
La scelta del tipo di ricostruzione più adatta dipende da molteplici fattori, tra cui, ad esempio, la quantità di dente sano che rimane dopo aver eseguito la rimozione della carie ed il successivo trattamento endodontico.
Sarà proprio compito del dentista valutare la quantità residua di dente sano e successivamente scegliere il restauro più adatto. Talvolta questa scelta può essere fatta anche prima di iniziare la devitalizzazione del dente.
Le scelte di restauro generalmente sono: 1) otturazione diretta del dente (il dentista esegue una ricostruzione della parte mancante) 2) restauro con intarsio che protegga la parte superiore della corona del dente (il dentista cementa al posto della parte mancante il manufatto realizzato in laboratorio con diversi materiali) 3) corona protesica (capsula) che protegge circonferenzialmente tutto il dente.
Se è presente sufficiente dente sano, al termine della devitalizzazione, il dentista potrà eseguire una ricostruzione diretta. Purtroppo però questa condizione non è molto frequente, perché i denti che vanno incontro ad un trattamento endodontico sono solitamente affetti da carie molto estese che compromettono anche la struttura sana del dente.
E quindi, se le pareti del dente, una volta rimossa la carie, risultassero mancanti o troppo sottili, non sarà possibile restaurare il dente con una semplice otturazione. Infatti le ripetute forze masticatorie comprometterebbero la resistenza nel tempo del dente. Allo scopo di prevenire le fratture, spesso irrecuperabili, sarà indicato “proteggere” le superfici masticatorie o con un intarsio che protegge le cuspidi o con una corona (capsula). In entrambi i casi, dopo la devitalizzazione, si eseguirà prima una ricostruzione diretta, o build-up, che servirà da nucleo centrale. Successivamente il dente verrà preparato (limato) in modo in modo parziale nel caso di un intarsio o in modo completo nel caso di una corona tradizionale. Il restauro della parte centrale del dente potrà essere semplice o rinforzato con l’ausilio di un perno in base alla quantità di struttura dentale residua. Il perno è un mezzo di ritenzione che verrà cementato (incollato) all’interno della radice e inglobato nel materiale resinoso utilizzato per ricostruire la parte di dente mancante.
È meglio un intarsio o una corona completa?
Gli intarsi possono essere eseguiti in composito o in ceramica ed hanno il vantaggio di essere più conservativi rispetto alla “capsula” e con i margini della preparazione sopra-gengivali, così da poter gestire in modo ottimale sia le fasi di cementazione (da eseguire con la diga di gomma) sia le procedure di igiene orale domiciliare e professionale, potendo visualizzare nel tempo eventuali infiltrazioni secondarie.
Le corone complete sono invece caratterizzate da una preparazione più estesa del dente che coinvolge le superfici dentali fino al margine gengivale. Dopo la preparazione dentale verrà applicata sempre una corona provvisoria in resina che verrà mantenuta in bocca il tempo necessario alla stabilizzazione dei margini gengivali dopo la preparazione, spesso più a lungo di quanto sia necessario per gli intarsi che hanno margini fuori gengiva e che vengono generalmente realizzati in pochi giorni. I provvisori devono essere controllati e ricementati periodicamente fino alla realizzazione della corona definitiva, per evitare che i monconi possano cariarsi in caso di decementazione.
Quindi che cosa si deve preferire?
Non si tratta di preferenze arbitrarie, ma di valutazioni oggettive sulla struttura dentale residua effettuate con attenzione dal dentista anche in relazione all’età del paziente.
Soprattutto nel paziente giovane e quando residuano spessori adeguati di dentina in grado di garantire resistenza al restauro, la scelta dell’intarsio è sicuramente ottimale.
Qualora invece non sia presente una sufficiente quantità di tessuto dentale, almeno 2 mm a livello del margine gengivale su tutta la circonferenza dell’elemento, potrà essere preferibile ricorrere ad una corona completa in grado di “abbracciare” adeguatamente il moncone a 360°. A volte, per ottenere questa condizione, possono essere necessarie procedure chirurgiche in grado di esporre la necessaria quantità di dentina sana (allungamento della corona clinica).
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È vero che un dente da protesizzare deve essere sempre devitalizzato?

È vero che un dente da protesizzare deve essere sempre devitalizzato?
È vero che un dente da protesizzare deve essere sempre devitalizzato?
La risposta a questa domanda è una questione molto dibattuta nella comunità odontoiatrica. C’è una parte che sostiene che il trattamento endodontico (comunemente chiamata devitalizzazione, ovvero l’asportazione della polpa del dente) sia necessario per proteggere il dente da possibili infezioni e per prevenire l’insorgere di dolore post operatorio. Tuttavia, molti esperti sostengono che la devitalizzazione andrebbe evitata, se possibile, in quanto indebolisce il dente e può far insorgere complicazioni a lungo termine.
Cos’è un restauro protesico?
Per capire i pro e i contro della devitalizzazione è importante sapere che per restauro protesico si intende una procedura utilizzata per ripristinare la funzionalità e l’estetica di un dente danneggiato.
I tipi più comuni di restauro protesico sono le corone che coprono un solo elemento e i ponti dentali che sono una serie di corone collegate tra loro, utilizzate per sostituire uno o più elementi mancanti. Quando prepariamo un elemento dentale per ricoprirlo con un restauro protesico, dobbiamo rimuovere lo smalto che difende il dente dal caldo e dal freddo e lo espone a maggior rischio di sensibilità. Negli ultimi anni la protesi è cambiata molto e possiamo ricorrere ad un approccio più conservativo: sempre più spesso, invece di ricorrere ad una corona protesica, ci affidiamo a tecniche adesive con restauri parziali come gli intarsi. Quando però non possiamo affidarci a restauri parziali, ma dobbiamo ricorrere alla corona totale lo possiamo fare con tecniche di preparazione che, rispetto al passato e grazie all’ausilio di sistemi di ingrandimento, ci permettono di distinguere meglio le caratteristiche anatomiche del dente e procedere con una preparazione meno invasiva. Inoltre, grazie all’evoluzione dei materiali dentali, oggi utilizziamo molto di più materiali come la zirconia e il disilicato di litio che richiedono spessori minori rispetto alla metallo ceramica e quindi offrono la possibilità di preparazioni meno aggressive e più conservative.
È vero che un dente può far male sotto una corona se non devitalizzato?
Si, può succedere che con il passare del tempo il dente possa far male e che sia necessario procedere con la devitalizzazione. L’incidenza della necrosi pulpare (la morte del nervo) a distanza di tempo dalla cementazione di una corona varia dallo 0% al 20%: la perdita di vitalità della polpa viene segnalata come la complicanza più frequente di un restauro protesico.
In questo caso possiamo creare un accesso al sistema canalare attraverso la corona: la cavità necessaria, grazie ai sistemi ingrandenti, può essere piccola e permettere comunque di procedere correttamente con la devitalizzazione. Il trattamento endodontico può essere tuttavia più o meno impegnativo dal punto di vista clinico a seconda della quantità di dente rimanente e del materiale del restauro. Inoltre alcuni materiali come la ceramica possono scheggiarsi intorno al bordo dell’apertura e rendere il restauro più soggetto alla propagazione di crepe. Alcuni studi sulla resistenza al carico della zirconia hanno dimostrato che realizzare una cavità per l’accesso endodontico influisce sul carico di frattura delle corone, in relazione allo spessore e al tipo di zirconia utilizzata. Altri studi dimostrano invece che la preparazione dell’accesso endodontico non sembra influenzare la resistenza alla frattura dei restauri realizzati con il disilicato di litio. In ogni caso risulta importante la metodica utilizzata per realizzare la cavità di accesso: il dentista sceglierà le frese più idonee per ridurre i danni e mantenere l’integrità del restauro.
Quindi dobbiamo sempre devitalizzare i denti prima di “incapsularli”?
No, non sempre è necessario devitalizzare un elemento dentale prima di eseguire un restauro protesico, ma la decisione dipende dalle circostanze individuali del paziente e dalle condizioni cliniche del dente e dal restauro protesico che deve essere eseguito. In genere la devitalizzazione è necessaria quando un dente è gravemente danneggiato da una carie profonda ed è sintomatico: in questo caso è consigliato rimuovere il nervo per prevenire infezioni future e la comparsa di dolore post-operatorio. La devitalizzazione è consigliata anche quando un dente ha bisogno di una maggiore preparazione perché è malposizionato, ad esempio inclinato in avanti, o perché ha problemi parodontali o per l’utilizzo di materiali che richiedono maggiore preparazione. D’altro canto in alcuni casi se il dente è solo parzialmente danneggiato, ma necessita per ragioni protesiche di essere “incapsulato”, la devitalizzazione potrebbe indebolire il dente e renderlo più suscettibile a fratture o insorgenza di complicazioni.
In ogni caso la decisione di devitalizzare un dente prima di eseguire un restauro protesico deve essere presa dal dentista considerando attentamente le specifiche condizioni cliniche del dente e del paziente.
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È vero che l’amalgama è molto pericolosa per la salute?

È vero che l’amalgama è molto pericolosa per la salute?
L’amalgama è davvero pericolosa per la salute?
L’amalgama è una lega composta di argento, mercurio, stagno e rame che rappresenta il materiale più longevo e più utilizzato per le otturazioni dentarie negli ultimi 150 anni; tuttavia, lo sviluppo di materiali più estetici e adesivi come le resine composite, hanno portato a una significativa diminuzione del suo utilizzo.
In particolare, la presenza di mercurio ha alimentato molti dubbi riguardo la sua sicurezza.
Sebbene le reazioni avverse locali all’interno del cavo orale siano meno dello 0,3% dei casi e la correlazione con i disturbi sistemici riportati da alcuni lavori scientifici presentino un livello di evidenza molto basso, la tossicità del mercurio contenuto nell’amalgama dentale è ben nota e l’obbiettivo Europeo è quello di eliminarne l’utilizzo entro il 2030.
Il comitato scientifico della commissione Europea per la valutazione dei nuovi e futuri rischi per la salute (SCENIHR) e l’Istituto nazionale di Sanità, sconsigliano l’utilizzo dell’amalgama su bambini di età inferiore ai 15 anni e nelle donne in gravidanza o allattamento, ma ne consentono l’utilizzo nel resto dei pazienti, in capsule pre dosate che evitino la manipolazione diretta del mercurio, ritenendola così un materiale ancora efficace in determinate situazioni cliniche.
Ma se il mio odontoiatra esegue un restauro in amalgama sta sbagliando?
Come anticipato, l’amalgama ad oggi non è un materiale vietato: anche se viene demonizzato dai media e dai social, ha ancora le sue precise indicazioni d’uso. Pertanto è stato e continua ad essere utilizzato in molti studi odontoiatrici italiani e nel mondo.
Ogni anno il numero di otturazioni in amalgama eseguite diminuisce sempre più facendo spazio alla più estetica resina composita. Per riportare alcuni dati riguardanti il triennio 2014-2016 si stima che, ad oggi, la percentuale di utilizzo di amalgama per restauri diretti (otturazioni) in Europa vada dallo 0,2% dei paesi nordici, ai 12,9% dell’Inghilterra. In Italia tale percentuale si stima essere del 4.6 %.
Un odontoiatria che utilizzi questo materiale con serietà è, e deve essere considerato, un odontoiatra valido, purché segua le tutte indicazioni di utilizzo e adotti tutti i presidi di sicurezza sia per la realizzazione del restauro in amalgama sia, soprattutto, per la sua rimozione e il suo smaltimento.
Come rimuovere in sicurezza l’amalgama dentale?
La rimozione non necessaria delle otturazioni in amalgama clinicamente valide può rivelarsi controproducente, comportando di fatto un’esposizione transitoria del paziente e dell’operatore ai vapori di mercurio che si creano durante le procedure di rimozione.
La sostituzione di questi restauri è indicata in pazienti con allergie diagnosticate ad uno dei componenti dell’amalgama stessa o per specifiche ragioni cliniche (carie, frattura, usura, ecc…). Qualora queste condizioni siano correttamente diagnosticate, l’odontoiatra adotterà tutte le dovute precauzioni per minimizzare il rischio di ingestione e di inalazione delle particelle di mercurio (isolamento con diga di gomma correttamente montata, aspirazione ad alta velocità, utilizzo di frese taglienti per poter rimuovere l’amalgama in blocco, riducendone la dispersione, lavorando sempre sotto irrigazione abbondante per evitare di “scaldare” l’amalgama, ecc…)
È molto importante non farsi condizionare da insensati allarmismi, rivolgendosi invece al proprio odontoiatra di fiducia che valuterà le reali necessità del trattamento e le modalità di esecuzione più appropriate per un eventuale nuovo restauro.
Le otturazioni in amalgama già presenti devono sempre essere sostituite?
Compito dell’odontoiatra è stabilire quando un’otturazione deve essere sostituita perché non più funzionante. Considerato che questa procedura inevitabilmente comporta l’asportazione anche di parte di dente sano, si devono rispettare specifiche indicazioni e adottare criteri decisionali appropriati. Questo vale ancora di più quando si tratta di un restauro in amalgama che necessita di tutte le attenzioni descritte precedentemente per minimizzare il rischio di tossicità durante la sua rimozione.
Poiché il rischio legato all’amalgama non è rappresentato dalla sua presenza in bocca, ma da manovre non precise durante le fasi di restauro o di eliminazione, è fondamentale capire quando un’otturazione in amalgama deve essere sostituita:
  1. Infiltrazione cariosa: una carie secondaria si sviluppa sotto l’
  2. Apertura di una “fessura” tra dente e restauro (infiltrazione cariosa iniziale, frattura parziale (chipping) del restauro o dell’elemento dentario.
  3. Frattura di una parete del dente.
  4. Comparsa di sintomatologia dolorosa difficile da interpretare (sindrome del dente incrinato).
  5. Assenza del punto di contatto con il dente adiacente.
In tutti gli altri casi un restauro in amalgama, salvo specifiche richieste estetiche, va considerato valido e mantenibile: il controllo nel tempo anche mediante radiografie endorali  cosiddette “bite-wing”, in grado di identificare precocemente le possibili criticità, consentirà un eventuale intervento efficace e tempestivo.
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È vero che un dente con un granuloma deve essere (sempre) estratto?

È vero che un dente con un granuloma deve essere (sempre) estratto?
Cos’è un granuloma?
Il granuloma periapicale è un’infiammazione cronica, spesso asintomatica, dei tessuti posti attorno alla radice del dente o in prossimità del suo apice (la “punta” della radice). Il processo infiammatorio interessa l’osso ed il legamento parodontale ed è causato dalla morte (necrosi) della polpa dentaria e dalla conseguente fuoriuscita di batteri e tossine batteriche dai canali radicolari. È una patologia molto diffusa tra la popolazione adulta in tutto il mondo.
Come accorgersi della sua esistenza?
Il paziente può scoprire di essere affetto da un granuloma di uno o più denti in occasione di un esame radiografico di controllo o in seguito ad un ascesso dentale, esito della riacutizzazione della patologia cronica preesistente.
Il processo infiammatorio cronico, controllato in maniera diversa dalla risposta immunitaria di ciascun individuo, provoca un riassorbimento osseo visibile in radiografia come un’area più scura in prossimità dell’apice del dente.
Il granuloma può essere asintomatico per lungo tempo (mesi e spesso anni) o creare disturbi vaghi, ma esiste la possibilità che possa manifestarsi con sintomi più evidenti (dolore spontaneo, dolore alla masticazione, ascesso e gonfiore della gengiva) che indicano la presenza di un’infiammazione acuta.
A volte può comparire una fistola, una bollicina in corrispondenza del gonfiore della gengiva sopra il dente: premendo sulla zona gonfia, attraverso la fistola può uscire pus e il dolore può avere un sollievo. Attenzione però, se il problema non viene affrontato come vedremo in seguito, l’infezione e l’infiammazione continueranno a creare problemi, a volte irrimediabili.
Quale terapia è indicata per il trattamento del granuloma?
La cura del granuloma è il trattamento endodontico (spesso chiamato anche cura canalare o devitalizzazione), che mira a rimuovere i batteri che hanno causato l’infezione, creando un ambiente favorevole alla guarigione ed eliminando il dolore. Per ottenere la guarigione del granuloma è necessario quindi rimuovere il più possibile i residui necrotici della polpa e i batteri attraverso la preparazione (sagomatura), disinfezione e successiva otturazione dello spazio canalare. Il processo di guarigione porta alla scomparsa dei sintomi clinici (spesso entro pochi giorni) e alla normalizzazione (talvolta nell’arco di mesi o anni) dell’area inizialmente evidente come più scura nell’esame radiografico. Per ridurre la sintomatologia pre e post-operatoria, in aggiunta alla cura canalare, possono essere utili gli antinfiammatori/antidolorifici comuni. Talvolta, in caso di presenza di essudato purulento (pus), il dentista prescriverà anche una terapia con l’antibiotico più adatto, da utilizzare sempre secondo la prescrizione ricevuta.
È importante che il paziente, dopo la terapia, si sottoponga ai controlli clinici e radiografici che permettano di valutare nel tempo il processo di guarigione.
Cosa succede se non si interviene?
L’infiammazione cronica, a lenta evoluzione e spesso asintomatica, se non trattata può diffondersi all’osso alveolare circostante e con il tempo tende spesso ad aumentare di dimensione. Questo può portare a sintomi più fastidiosi e gravi (dolore e ascessi) e ad una guarigione più difficile. É bene inoltre ricordare che questo tipo di infezioni, cosiddette focali, possono diffondersi anche al cuore, ai reni e alle articolazioni: la cura dei granulomi è quindi opportuna non solo per mantenere i denti, ma anche per evitare danni importanti, a volte irreversibili, in altri organi vitali.
Se il granuloma non guarisce?
La persistenza del granuloma dopo la cura canalare può essere attribuita a diversi fattori: batteri non rimossi a causa della complessità del sistema dei canali radicolari, la presenza di batteri al di fuori della radice (infezione extraradicolare), una mancata o inadeguata ricostruzione del dente possono infatti contribuire a mantenere attive queste lesioni.
Se con un primo trattamento endodontico il granuloma non guarisce, può essere indicato il ritrattamento dei canali radicolari. Il ritrattamento può essere completato, in alcuni casi, con un intervento di rimozione chirurgica della “punta” della radice (apicectomia). L’alternativa al ritrattamento e all’apicectomia è l’estrazione del dente. Questa però rappresenta un atto chirurgico irreversibile e, pertanto, deve essere valutata solo dopo aver escluso tutte le altre possibilità. L’Odontoiatra fornirà tutte le informazioni relative alle migliori alternative terapeutiche, aiutando il suo paziente a valutare le diverse opportunità e i relativi costi, sia biologici che economici.
Una cisti è come un granuloma?
Talvolta può sorgere il dubbio di non essere di fronte ad un granuloma ma ad una cisti. Cisti e granulomi sono patologie differenti, la cui diagnosi può essere eseguita con certezza solo con un attento esame anatomico ed istologico. Spesso la terapia delle cisti infiammatorie (ne esistono infatti anche altri tipi) è la stessa dei granulomi, cioè il trattamento endodontico. La cisti normalmente ha caratteristiche diverse rispetto al granuloma: è più grande e microscopicamente è circondata da un tipo di cellule che la fanno crescere, talvolta a discapito di strutture adiacenti quali denti, vasi, nervi ed ossa: ne conseguono spesso sinusiti, formicolii, parestesie e dolore. Tuttavia queste caratteristiche non possono permettere con certezza la distinzione diagnostica di cisti o granuloma. È bene affidarsi al professionista che, caso per caso, saprà affrontare la patologia adottando il trattamento più idoneo ad ottenere il più alto successo clinico.
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È vero che gli impianti sono per sempre?

È vero che gli impianti sono per sempre?
È vero che gli impianti sono per sempre?
L’utilizzo di impianti in titanio per sostituire i denti persi è una tecnica consolidata e molto diffusa al giorno d’oggi. Sempre più dentisti offrono questa soluzione nei loro studi e, allo stesso tempo sempre più pazienti ne fanno richiesta. Ma anche se la terapia implantare permette ai pazienti di ristabilire la masticazione e l’estetica con un grande livello di comfort, non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di un trattamento chirurgico e pertanto il paziente deve conoscerne costi e benefici come anche i possibili inconvenienti. Per questo motivo vogliamo rispondere alle due domande più frequenti e critiche che spesso vengono poste al dentista.
Gli impianti dentali sono meglio dei miei denti?
La risposta è NO. Madre natura è un meraviglioso ingegnere e il corpo umano una macchina incredibile. Pertanto, quello che ci è stato fornito è certamente lo strumento migliore per ottenere gli scopi per cui è stato progettato: che sia per masticare, per deglutire o per parlare, il cavo orale è strutturato nel modo ideale. I denti, l’osso e la gengiva hanno forma e funzione adeguata, hanno un sistema di ammortizzazione degli urti, hanno processi per ripararsi e rigenerarsi, possono difendersi dagli insulti. La sostituzione di un dente naturale con materiali sintetici come il titanio o la ceramica deve avvenire solamente quando il dente non è assolutamente recuperabile o quando il suo recupero metta a rischio altre strutture. Parliamo di traumi, di carie molto profonde, di fratture o di lesioni della radice. Solo quando il dentista non è più in grado di recuperare l’elemento, allora è indicata la sostituzione con un impianto. Pertanto non dobbiamo avere “fretta” di sostituire i denti naturali poiché, nonostante l’implantologia consenta oggi riabilitazioni molto raffinate, le performance dei nostri denti restano insuperabili.
Se invece parliamo di pazienti edentuli, portatori di protesi totali mobili (le cosiddette dentiere) l’utilizzo degli impianti è indicato per aiutare a stabilizzare le protesi fino addirittura a realizzare protesi complete fissate sugli impianti, simulando una dentatura naturale.
Gli impianti dentali sono per sempre?
Questa è forse la domanda più spinosa. Gli impianti sono dispositivi medici che possono permanere in un equilibrio stabile e duraturo con la gengiva e l’osso. Partiamo dal presupposto che la terapia sia realizzata nel modo corretto, con i tempi corretti, con i migliori materiali e rispettando i parametri anatomici e biologici. Una volta che il paziente esce dallo studio del suo dentista inizia la fase di “mantenimento” della salute dei tessuti che sostengono gli impianti. Come detto, l’impianto non è parte di noi, non sollecita risposte immunitarie, non si “difende”. L’implantologo e il protesista devono realizzare il trattamento in modo che sia duraturo nel tempo e che sia mantenibile dal paziente con manovre di igiene domiciliare corrette. Pertanto, la durata nel tempo degli impianti dipende da un lavoro di team formato dal dentista, che realizza il trattamento in modo corretto, dall’igienista, che si occupa della manutenzione e della pulizia dell’impianto e del dente protesico al momento dei controlli in studio, e dal paziente che si occupa scrupolosamente della pulizia ogni giorno a casa. Solo in questo modo la riabilitazione implanto-protesica può durare a lungo nel tempo. Quello che dobbiamo inoltre ricordarci è che gli impianti e la protesi vengono realizzati in modo personalizzato per ogni paziente e per ogni condizione specifica. Queste condizioni però variano con il tempo, compatibilmente con l’invecchiamento e le modificazioni della bocca e dell’aspetto di ogni persona. In aggiunta a questo, se la fase di mantenimento igienico risultasse inadeguata, potrebbero instaurarsi infiammazioni o infezioni attorno all’impianto dette “peri-implantiti” (la “piorrea”degli impianti). Per questo motivo bisogna considerare la possibilità di re-intervenire per trattare l’impianto o addirittura per rimuoverlo se irrecuperabile.
In conclusione, la sostituzione di un dente naturale con un impianto è un trattamento sicuramente valido ma che va ponderato, progettato, realizzato nel modo corretto e mantenuto nel tempo dal paziente e dall’igienista in modo scrupoloso: solo così possiamo garantire ai nostri impianti una lunga vita.
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È vero che la terapia canalare (devitalizzazione) fa diventare i denti più scuri?

È vero che la terapia canalare (devitalizzazione) fa diventare i denti più scuri?
Quando un dente può risultare più scuro degli altri?
Può essere capitato a volte di essersi rivolti al dentista perché si notava un dente con una colorazione differente, più scura rispetto agli altri. Questa condizione può allarmare i pazienti e può essere il risultato di diversi fattori: l’elemento dentale può essere “macchiato”, presentando quindi sulla superficie pigmentazioni che lo rendono più scuro; il dente può essere cariato oppure avere ricevuto, molti anni prima, l’otturazione di una carie mediante amalgama d’argento o, ancora, il dente può aver subito un trauma. Infine è possibile che esso sia stato precedentemente sottoposto ad una cura canalare (devitalizzazione) che lo ha reso di un colore differente dagli altri.
Che cosa è la terapia canalare e perché un dente trattato endodonticamente può risultare più scuro?
La terapia canalare (spesso chiamata devitalizzazione) è una procedura che viene eseguita su un elemento dentale solitamente infetto, che può o meno aver provocato dolore al paziente. La terapia prevede numerose fasi tra cui l’apertura del dente, la rimozione della polpa dentale, la pulizia del canale radicolare ed infine l’otturazione dello stesso. I residui della polpa dentale e i materiali che vengono utilizzati per l’otturazione dei canali radicolari possono, se lasciati in eccesso all’interno dell’elemento dentale, provocare nel tempo il cambiamento del colore del dente. È anche possibile che, dopo un trauma, il dente si sia scurito e che la terapia canalare effettuata non abbia migliorato la colorazione del dente.
Quali sono le strategie per evitare che il dente si scurisca?
Dopo aver subito un trauma, è importante sottoporsi a regolari appuntamenti di controllo dall’odontoiatra che valuterà, tramite test specifici, se il dente traumatizzato mantiene o meno la sua vitalità. Nel caso in cui il dente perda la sua vitalità, un trattamento precoce da parte dell’odontoiatra permette di minimizzare il cambiamento di colore del dente traumatizzato, cosa che può invece progredire se il trattamento non viene effettuato tempestivamente.
La prevenzione è importante anche per controllare la presenza di nuove carie e controllare i margini delle otturazioni già presenti in bocca. Una carie in uno stadio avanzato potrà far assumere alla corona del dente un colore più scuro.
In ogni caso, qualora sia necessario procedere con una terapia canalare (devitalizzazione), il dentista dovrà rimuovere accuratamente dalla corona del dente tutti i materiali da otturazione inseriti all’interno del canale, prima di eseguire l’otturazione definitiva, per evitare la successiva e indesiderata colorazione del dente.
Come posso riportare il dente al suo colore originario? 
La terapia canalare, anche tramite l’azione dei liquidi necessari alla disinfezione della parte interna del dente, permette già di per sé di migliorare il colore dell’elemento dentale. Ma se questo non è sufficiente a riportare il dente al suo colore originale, è possibile effettuare dei trattamenti sbiancanti della corona dell’elemento dentale. Tramite un’apertura nella parte più interna della corona (palatale/linguale) del dente, dopo che questo è stato sottoposto a terapia canalare, è possibile l’applicazione di prodotti sbiancanti quali il perossido di idrogeno (acqua ossigenata), il perossido di carbammide o il perborato di sodio che tramite la loro azione ossidante locale permettono, dopo alcune applicazioni, il ripristino del colore originale del dente. Nel caso in cui questi materiali non siano sufficienti a raggiungere il risultato desiderato a causa della presenza di pigmentazioni resistenti e qualora questo sia ritenuto davvero indispensabile, è possibile effettuare rivestimenti poco invasivi delle superfici esterne dei denti utilizzando le cosiddette faccette in ceramica o realizzando rivestimenti totali del dente (corone protesiche).
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È vero che i denti che si muovono sono denti che devono essere (sempre) estratti?


È normale che i denti si muovano?
I nostri denti non sono bloccati all’interno dell’osso, ma attorno ad essi c’è un cuscinetto di tessuti che assorbe le forze della masticazione. Questo fa sì che, anche in situazione di salute, i denti abbiano una minima mobilità. Questa condizione permette inoltre ai denti di spostarsi durante l’arco della vita adeguandosi al modificarsi degli equilibri che ne determinano la posizione. E’ quindi normale che i nostri denti appaiano diversi con il passare del tempo.
Questi cambiamenti sono però solitamente lenti e non causano problemi alla masticazione.
E se i denti si muovono velocemente?
In determinate situazioni può capitare che i nostri denti “traballino” o si spostino molto e in relativamente poco tempo.
Questi sono segnali di qualcosa che non va e indicano che è necessario recarsi dal dentista per capirne i motivi: nella maggior parte dei casi il motivo principale è la presenza di malattia parodontale.
La malattia parodontale, infatti, va a minare la stabilità e la quantità di quel cuscinetto di tessuti, il legamento parodontale che assorbe le forze masticatorie e dell’osso che circonda il dente.
Con le fondamenta ridotte questi denti, più propriamente detti elementi con supporto parodontale ridotto, non riescono più a sopportare il carico della masticazione o la spinta della lingua: il risultato è che iniziano a muoversi molto e/o a spostarsi molto velocemente.
Una mobilità eccessiva potrebbe anche verificarsi senza che sia presente parodontite e in situazione di supporto parodontale normale. In questi casi la causa potrebbe essere un sovraccarico masticatorio per cui il dente (o i denti) incominciano a “traballare” per scaricare più facilmente questo sovraccarico.
Cosa fare se i denti “traballano” o si muovono velocemente?
In questo caso è fondamentale fare una diagnosi corretta e trovare la causa della mobilità. Per fare questo, è necessario recarsi da un odontoiatra e sottoporsi ad una visita. Durante la visita il dentista valuterà il cavo orale nel suo complesso e, effettuando esami clinici indispensabili come il sondaggio parodontale e utilizzando, molto probabilmente e quando necessario, radiografie endorali, arriverà a diagnosticare il reale motivo della mobilità, proponendo di conseguenza un piano di cura valido per evitare che la problematica progredisca e peggiori.
Cosa posso fare per evitare o ridurre la mobilità dei denti?
Nel caso in cui la causa della mobilità venga riconosciuta nella malattia parodontale, è fondamentale che la situazione venga affrontata il più prontamente possibile per prevenire peggioramenti. Il trattamento della malattia parodontale consiste principalmente nella rimozione della causa principale, la placca batterica, tramite sedute di igiene professionale e adottando procedure di igiene domiciliare corretta. Solitamente questo primo, fondamentale, trattamento produce la scomparsa o, per lo meno, una significativa riduzione della mobilità degli elementi inizialmente ipermobili. Nei casi di mobilità peggiori o dove permanga una fastidiosa mobilità residua dopo il trattamento, è possibile anche solidarizzare, mediante i cosiddetti “splintaggi”, gli elementi mobili con gli elementi vicini per aumentare la resistenza alle sollecitazioni e migliorare il comfort masticatorio del paziente.
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È vero che le sedute di igiene possono danneggiare I denti?

È vero che le sedute di igiene possono danneggiare I denti?
È vero che le sedute di igiene possono danneggiare I denti?
Le sedute di igiene professionale, insieme alla corretta igiene domiciliare, giocano un ruolo fondamentale per la salute dei nostri denti e delle nostre gengive.
Molte persone pensano che, oltre a causare dolore, le sedute professionali siano dannose e possano rovinare i denti: per questo motivo spesso decidono di non sottoporsi a questi trattamenti con la necessaria periodicità, mettendo a rischio la propria salute orale.
Con il passare del tempo, infatti, i batteri crescono e si moltiplicano sui nostri denti e, se non vengono rimossi con spazzolino e filo, si organizzano formando la placca. Questo insieme di batteri può produrre degli acidi e causare carie, creare infiammazione gengivale (gengivite) e parodontite (piorrea, come si diceva una volta) oppure tutte queste cose. Inoltre, la placca più rimane indisturbata più tende a mineralizzarsi e a diventare tartaro. Una volta che questo è accaduto, l’igiene domiciliare non è più sufficiente e solo l’igienista o l’odontoiatra con gli strumenti adatti saranno in grado di rimuovere la placca ormai diventata solida.
È vero che gli strumenti e i prodotti utilizzati per l’igiene orale possono danneggiare i denti?
Probabilmente i motivi delle paure di qualche paziente sono il metodo con cui l’igiene professionale viene eseguita e i prodotti che vengono usati.
  • Strumentario: potrebbe sembrare che, per rimuovere placca e tartaro, l’igienista usi strumenti aggressivi e “gratti via” insieme ai batteri anche parte del dente. Alcuni strumenti utilizzati possono sembrare aggressivi, ma se usati nella maniera corretta non sono dannosi per i denti. Tieni presente che losmalto dentale è la sostanza più dura presente nel nostro corpo e ha una grande resistenza agli insulti.
  • Oggi ci sononuovi strumenti (nuovi tipi di ultrasuoni o di air polishing) che permettono di essere ancora più efficaci e delicati nella pulizia pur avendo a che fare con tartaro tenace e difficile da rimuovere.
  • I prodotti che vengono usati sono tutti prodotti certificati e sicuriper l’uso che ne dobbiamo fare.
Si dice che la pasta da lucidatura possa rigare lo smalto e rovinarlo: queste paste, caratterizzate da una abrasività davvero minima e correttamente utilizzate, sono invece utilissime nel rimuovere la placca e le macchie di superficie che si sono attaccate allo smalto dei denti. Per quanto riguarda il fluoro, numerosi studi hanno dimostrato che non è tossico e che è utile per rafforzare lo smalto dei denti e proteggere dalla carie.
È vero che l’igiene orale professionale periodica è inutile?
Quando la placca si è mineralizzata in tartaro, l’igiene domiciliare non è più sufficiente e solo l’igienista o l’odontoiatra con gli strumenti adatti saranno in grado di rimuovere questa placca diventata solida.
È importante sottolineare che, per quanto una persona possa essere efficiente nel rimuovere la placca ogni giorno, rimarranno delle zone difficili da raggiungere dove una certa quantità di placca e tartaro potrebbero comunque formarsi: proprio per pulire e tenere controllate queste zone diventa fondamentale ricorrere periodicamente al consulto del dentista e al supporto dell’igienista.
È vero che l’igiene orale è dolorosa?
Se è passato molto tempo dall’ultima seduta di igiene a cui ci siamo sottoposti e abbiamo lasciato formare troppo tartaro, sarà poi più lungo e difficoltoso per l’igienista rimuoverlo completamente: la seduta potrebbe sembrare così più aggressiva e dannosa. In queste situazioni, sarà più facile che la seduta possa provocarci fastidio e alle volte anche un po’ di dolore ma, se il trattamento è correttamente eseguito da professionisti che utilizzano gli strumenti adatti, non potrà in nessun modo danneggiare la nostra dentatura e le nostre gengive. Al contrario, è dimostrato essere maggiore il danno che facciamo alla nostra bocca non recandoci ai regolari controlli e non sottoponendoci alle sedute di igiene periodiche.
È vero che dopo la seduta ci sono importanti effetti collaterali, come dolore o ipersensibilità permanenti?
Dopo una seduta d’igiene professionale possono comparire alcuni effetti collaterali che variano da un lieve fastidio, ad un aumentata sensibilità al freddo, ad una sensazione di dolore vera e propria, al sanguinamento dalle gengive. Questi sono forse il motivo principale per cui alcune persone pensano che la seduta di igiene sia dannosa. In realtà sono reazioni del tutto normali che non devono preoccupare e la cui intensità è spesso dipendente dalla nostra igiene domiciliare e da quanto tempo è passato dall’ultima seduta con l’igienista.
Più la nostra igiene domiciliare è imprecisa e più tempo è passato dall’ultima seduta, tanto più questa potrà essere fastidiosa, durante e dopo. Stesso discorso vale per il sanguinamento che potrebbe presentarsi durante e subito dopo la seduta. Sono comunque tutti effetti collaterali che scompaiono nel giro di qualche ora o di pochi giorni. La seduta di igiene orale professionale eseguita da professionisti qualificati è quindi sicura e, insieme ai controlli periodici con il dentista, necessaria per il mantenimento della salute orale. Se avete altri dubbi in merito, parlatene con il vostro dentista o igienista di fiducia. Saranno sicuramente in grado di rispondere alle vostre domande e tranquillizzarvi!
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È vero che non si possono fare le radiografie dentali in gravidanza e durante l’allattamento?

È vero che non si possono fare le radiografie dentali in gravidanza e durante l’allattamento?
È vero che non si possono fare le radiografie dentali in gravidanza?
La salute orale può essere compromessa durante la gravidanza e potrebbero essere necessari esami radiografici per la corretta diagnosi e la appropriata gestione delle varie patologie dentali. L’ Associazione dei Dentisti Americani (ADA, American Dental Association) e l’Associazione dei Ginecologi Americani (American College of Obstetricians and Gynecologists) e il Ministero della Salute italiano affermano che le donne in gravidanza possono ricevere radiografie dentali durante l’intero periodo della gravidanza, purchè vengano adottate adeguate misure di radioprotezione per mantenere la dose più bassa ragionevolmente ottenibile [1, 2, 3].
È vero che sono necessarie particolari precauzioni per essere sottoposte a radiografie dentali in gravidanza?
Le radiografie dentali sono sicure durante la gravidanza a patto che vengano utilizzate le normali misure di radioprotezione [3]. Il tuo dentista ti informerà sulla effettiva necessità dell’indagine radiografica e utilizzerà i mezzi e le misure di radioprotezione più appropriate per ridurre al minimo, anche di un fattore 10, [4], la dose di radiazione che riceverai.
Considera che una radiografia endorale digitale [5], comporta un’esposizione media a livello del seno equivalente a 2 giorni di radiazione di fondo o a un’ora di volo aereo. Per il feto, data la distanza dall’irradiazione prodotta di una sorgente radiogena collimata, cioè molto ristretta, come quella generata dagli apparecchi radiografici odontoiatrici, l’esposizione corrisponde a 11 ore di radiazione di fondo (= 15 minuti di volo aereo)
È vero che non possono essere eseguite radiografie dentali durante l’allattamento?
Non c’è alcuna evidenza che radiografie endorali, ortopantomografie o CBCT, tutti esami eseguiti senza mezzo di contrasto, possano alterare in qualche modo il latte materno. L’allattamento può quindi essere effettuato senza alcuna sospensione in previsione di uno di questi esami radiografici [1, 3]
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È vero che lo sbiancamento dentale si può fare a casa senza problemi?

È vero che lo sbiancamento dentale si può fare a casa senza problemi?
È vero che lo sbiancamento dentale si può fare a casa senza problemi?
Lo sbiancamento dentale è una delle terapie più richieste negli studi dentistici, ma ancora oggi si tende a considerarla una pratica semplice e senza effetti avversi, tanto che molti pazienti la affrontano in modo autonomo. Le macchie sui denti (definite discolorazioni) hanno molteplici cause: dall’utilizzo di sostanze e cibi colorati come vino rosso, thè, tisane e caffè, all’assunzione di alcune molecole antibiotiche in età pediatrica. La tipologia, la causa e la terapia dei diversi tipi di macchie è ben diversa tanto che, prima di eseguire uno sbiancamento è necessario rivolgersi al proprio dentista che saprà consigliare la migliore terapia per risolvere la problematica. Purtroppo è sempre più diffuso l’utilizzo di agenti sbiancanti di tipo domiciliare che quindi vengono utilizzati in maniera autonoma e senza controllo da parte del paziente nella propria abitazione: ma questo tipo di sbiancamento è sicuro? È efficace ed innocuo?
È vero che gli sbiancanti sono tutti ugualmente sicuri?
Per poter affrontare il problema della sicurezza degli agenti sbiancanti dobbiamo intanto capire come funzionano. Essi svolgono la loro azione sbiancante grazie alla capacità del perossido di idrogeno (l’acqua ossigenata) di modificare chimicamente le molecole pigmentate che sono penetrate all’interno dei tessuti del dente (smalto e dentina). Questa azione non è affatto dannosa se eseguita solo sul tessuto che deve essere sbiancato.
Se l’agente sbiancante raggiunge invece la gengiva che circonda il dente, questa può essere danneggiata gravemente, e, talvolta, in modo permanente, soprattutto se il contatto è prolungato.
È vero che gli sbiancamenti domiciliari “fai da te” non sono sicuri?
Vista la grande quantità di parametri da prendere in considerazione durante l’applicazione di queste molecole, la domanda che ci poniamo è: gli sbiancamenti domiciliari fai da te sono sicuri? Il Ministero della Salute, con un decreto (1), ha voluto tutelare la salute del paziente bloccando gli sbiancamenti fai-dai-te. Di fatto, dal 2013, non è più possibile acquistare prodotti al cui interno sia presente una concentrazione > 0.1% di perossido di idrogeno (acqua ossigenata), che è il principio attivo su cui si basano questi prodotti, che sono sotto forma di gel, paste e strisce adesive.
Il decreto del Ministero della Salute, di grande importanza per la tutela dei cittadini, vieta la vendita di questi prodotti nelle farmacie e nei supermercati: ciò nonostante, questa categoria di prodotti è comunque reperibile senza troppe difficoltà su diversi siti on-line in cui si trovano, bypassando in modo non legale la legge italiana, sistemi sbiancanti che dichiarano di essere efficaci ed innocui.
Dobbiamo sapere che il perossido di idrogeno, a qualunque concentrazione sopra lo 0.1%, può essere dannoso se non vengono seguiti protocolli clinici ben definiti e, soprattutto, se non sono state precedentemente valutate le condizioni dei denti e delle gengive del paziente che si vuole sottoporre a questo tipo di trattamento.
È vero che gli sbiancamenti domiciliari “fai da te” non sono efficaci?
Se analizziamo l’efficacia di questi prodotti, il rischio è quello di sottoporsi non solo a terapie domiciliari rischiose in termini biologici, ma anche di affrontare questi rischi senza risultati. Spesso i prodotti che si trovano in commercio contengono infatti molecole che, non comprese nell’elenco degli “ingredienti” efficaci, compongono prodotti dannosi ed inutili. Per esempio, la presenza di gel a base alcolica produce un effetto sbiancante solo transitorio semplicemente perché disidrata il dente e non perché svolga una attiva funzione sbiancante: l’eccessiva disidratazione dell’elemento o degli elementi sottoposti al trattamento di sbiancamento può comportare poi problemi ben più gravi valutabili a distanza.
Si possono reperire sul web prodotti più o meno fantasiosi nella formulazione (carboni attivi, prodotti vegani, acidi vari ecc., quasi sempre senza dichiarazione di certificazione CE) e nelle dichiarazioni di efficacia accompagnate da recensioni entusiastiche. Leggendo con attenzione le recensioni e le caratteristiche, compaiono, guarda caso “scritti in piccolo”, avvertimenti sulla necessità di evitare questi prodotti in gravidanza e durante l’allattamento o qualora siano presenti carie, ipersensibilità dentale o altre “patologie”!
È vero che non serve andare dal dentista per sbiancare i propri denti?
La letteratura scientifica (2-4) è d’accordo sulla necessità che gli agenti sbiancanti debbano essere somministrati solo da personale qualificato ed esperto che, dopo aver effettuato una attenta diagnosi delle condizioni dei denti e delle gengive del paziente, è in grado di applicare protocolli clinici ben definiti (2-4).
L’utilizzo di prodotti che non sono stati validati dalle severe leggi italiane ed europee in tema di tutela della salute, può portare a conseguenze anche gravi: la sensibilità post-operatoria, l’infiammazione gengivale, i riassorbimenti radicolari con possibile perdita del dente, sono solo alcuni degli inconvenienti e degli effetti avversi che possono verificarsi successivamente ad uno sbiancamento eseguito senza la supervisione dell’odontoiatra o dell’igienista dentale.
Ricordati che qualsiasi prodotto sbiancante, applicato senza aver deterso accuratamente i denti e senza aver identificato restauri che impediscano il contatto tra prodotto e il complesso smalto/dentina, è quasi certamente inefficace!
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